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Cultura

IL VESCOVO, L’ASTROFISICA E L’ORIGINE DEL MONDO

MICHELE BRAMBILLA - 21/09/2012

Michele Brambilla, moderatore dell'incontro tra Mons. Zenti e Margherita Hack

Quella sera a Verona c’erano mille persone al palazzo della Gran Guardia a sentire il vescovo Giuseppe Zenti e l’astrofisica Margherita Hack impegnati in duello su un tema non proprio da niente: esiste Dio? All’esterno c’erano almeno altre cinquecento persone che avrebbero voluto assistere al confronto tra il monsignore e la scienziata atea e che dovettero accontentarsi di ascoltare in qualche modo da un altoparlante.

Avevo l’incarico di moderare i due contendenti; e soprattutto di moderare il pubblico, equamente diviso tra i cattolici veronesi e i militanti della UAAR (Unione atei e agnostici razionalisti, dei quali la Hack è presidente onorario) venuti in pullman da mezza Italia. Temevo che la temperatura sarebbe salita come ai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini. Invece, proprio sotto gli occhi della professoressa Hack, che ai miracoli non crede, avvenne un miracolo. Rispetto reciproco, toni garbati, accettazione da parte del pubblico dell’invito a non interrompere con applausi o contestazioni. Solo alla fine ci fu un lungo, quasi interminabile applauso a entrambi i “contendenti”, un applauso la cui intensità sembrò significare un «grazie per averci parlato di questi temi».

Naturalmente – e ci mancherebbe – nessuno dei due cambiò idea. Però nessuno dei due finì con il pretendere che la propria fosse tale da imporsi con l’evidenza dei fatti e della ragione.

Ero curioso di conoscere le “ragioni per negare” di Margherita Hack. Gli atei sostengono: vedete?, è un’astrofisica e non crede che i cieli siano abitati da Qualcuno; vuol dire che la scienza è contro la fede.

Ma la signora Hack si guardò bene dal fare come alcuni suoi colleghi e (se ci si passa il termine) “correligionari” i quali pretendono appunto di affermare che uno scienziato non può credere in Dio. «La scienza – disse quella sera – non può dare risposte alla domanda sull’esistenza o sull’inesistenza di Dio. infatti ci sono scienziati atei, agnostici e credenti. Io non credo, ma non ho una ragione scientifica per non credere. Semplicemente penso che, di fronte al Mistero dell’Universo e della Vita, l’idea di un Dio creatore sia una risposta un po’ facilona. Anch’io sono meravigliata nel constatare che da una zuppa primordiale di particelle elementari si sia sviluppata una vita così complessa. Ma mi accontento di spiegarlo con l’esistenza della materia. Sono atea, ma ammetto che anche il mio ateismo è una fede non dimostrabile».

Monsignor Zenti replicò che «la materia non spiega tutto, basta osservare l’uomo, le cui attività sono in gran parte immateriali: il pensiero, le emozioni, i sentimenti». E spiegò che la sua fede deriva da un’esperienza: «È la vita che mi dimostra che Dio c’è ed è in relazione con me».

non mancarono i colpi di fioretto: «l’uomo si è inventato Dio anche per esorcizzare la paura della morte», disse la Hack. insomma credere sarebbe una scelta di comodo per placare le proprie angosce. Affermazione alla quale un credente potrebbe replicare che anche essere ateo può essere “comodo”: senza Dio, l’uomo si sente padrone di decidere da sé che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, e si ritaglia una morale su misura. Discussioni che potrebbero continuare all’infinito.

Volli terminare il mio lavoro di intervistatore rivolgendo a Margherita Hack questa domanda: «Signora, lei non crede. Ma le piacerebbe essere smentita, un minuto dopo la sua morte? le piacerebbe sapere all’improvviso di avere avuto torto?».

«Certo che preferirei essere smentita. Certo che preferirei che ci fosse un aldilà, nel quale incontrare le persone che ho amato. Ma purtroppo non è così».

Mi parve, comunque, la prova che Dio è un desiderio inestirpabile, e che la sua alternativa è l’accettazione di una vita senza prospettive, direi disperata, almeno secondo il mio punto di vista.

Quella notte lasciando Verona, e ripensando a quanta gente aveva ascoltato in rispettoso silenzio quel faccia a faccia così diverso da tanti nostri urlati talk show, pensai quanto fossero sbagliate le previsioni di coloro che volevano l’uomo del Duemila indifferente alla questione religiosa.

Anche nel mondo delle cybercomunicazioni e dell’ingegneria genetica, la domanda sull’esistenza o meno di Dio resta la stessa dei primi passi dell’umanità; e la sola destinata ad appassionare per sempre. Perché non è una domanda che riguardi solo il cielo (è abitato o no?), questione della quale potremmo anche infischiarcene. Riguarda ciascuno di noi, la nostra origine e il nostro futuro. Siamo figli di un progetto destinati all’Eternità? Oppure, come diceva amaro Petrolini, «siamo pacchi senza valore che l’ostetrica spedisce al becchino?».

il grande pubblico di quella sera a Verona mi parve pure, se mi è permesso, una lezione per tanto clero che da tempo – forse nell’illusione di «seguire il mondo» – parla più spesso e volentieri di politica e di sociologia, trascurando il suo core business, l’unico che possa riempire nuovamente le chiese.

 “Il vescovo e l’astrofisica” è il capitolo iniziale del libro “Penso a Dio qualche volta di notte – Incontri con gente famosa” di Michele Brambilla. Ringraziamo per la gentile concessione le edizioni Ancora

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