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Attualità

IL TARLO INVISIBILE DELLA NOSTRA ECONOMIA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 21/09/2012

“Dobbiamo abbattere lo spread della produttività” – afferma Mario Monti – in quanto esso incide negativamente sull’economia italiana, assai di più del differenziale tra i Buoni del Tesoro e i Bund tedeschi.

Quarant’anni fa l’Italia era tra i Paesi produttivi più dinamici, oggi è tra quelli che crescono di meno. Ma che cos’è la produttività del lavoro?

Non significa, come molti credono, che si debba lavorare di più, quasi che il nostro sia un Paese di oziosi sfaccendati e assenteisti.

In Italia la produttività è bassa perché il nostro sistema ha dei costi fuori misura che tarpano la concorrenzialità, a cominciare dal prezzo più elevato dell’energia elettrica e dei carburanti, delle assicurazioni, del credito bancario, dei ritardi della burocrazia, della lentezza della giustizia che concorrono a rendere più cari i nostri prodotti e, quindi, ad abbassare la produttività.

In sostanza la produttività è il valore aggiunto di una unità di bene prodotta per occupato; cioè la differenza tra costi e ricavi: se i primi aumentano si contrae il valore aggiunto.

Non è tutto; la produttività dipende anche dai macchinari e dalle tecnologie con cui i lavoratori operano, se gli impianti sono moderni e sono supportati dall’elettronica gli operai sono in grado di produrre un maggior numero di beni ma per raggiungere tale traguardo sono necessari investimenti per la ricerca e l’innovazione. Le fabbriche moderne ed efficienti producono ricchezza, quelle vecchie e magari sovvenzionate dallo Stato la distruggono.

Gli investimenti sono fatti dagli imprenditori e non dai lavoratori ma dipendono da due condizioni: una domanda sostenuta verso i prodotti offerti e un ragionevole profitto.

Invece in Italia la domanda di beni va male perché il reddito dei cittadini è diminuito e la tassazione dei profitti commerciali, come del resto quella dei redditi di lavoro, è troppo alta; si guadagna di più dalla rendita finanziaria che dal profitto industriale.

Se è vero che la crescita dell’economia dipende dalla produttività, questa non dipende, se non in minima parte, dalla buona volontà delle parti sociali ed è condizionata moltissimo dai costi che i produttori sono costretti a sostenere in misura superiore rispetto all’estero.

La chiave per superare l’ “impasse” è nelle mani del governo, se è determinato nella volontà di attuare le riforme da troppo tempo promesse e sempre disattese con la conseguenza della rigidità del “sistema Italia” bloccato da una burocrazia onnipotente e inefficiente, da una miriade di leggi, da centri corporativi di potere che bloccano la concorrenza dei mercati e che la politica non è riuscita a smantellare per l’opposizione delle “lobby”.

L’austerità che sperimentiamo è dovuta – secondo l’ufficio studi di Intesasanpaolo – in misura di due punti del PIL ai provvedimenti del precedente governo e per meno di 0,6 punti ai provvedimenti dell’attuale esecutivo.

La riduzione del carico fiscale sarebbe certamente utile per diminuire i costi delle imprese e sostenere la domanda dei beni ma l’IMU, la cui abolizione è stata proposta da Berlusconi, avrebbe una minima incidenza sulla produzione del reddito, trattandosi di un’imposta sui patrimoni immobiliari.

Purtroppo gli italiani si lasciano ancora sedurre dalle promesse miracolistiche da parte di una classe dirigente invecchiata e incapace di leggere correttamente la realtà di un mondo globalizzato e interconnesso.

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