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Sport

VITE SALVATE MA SCONOSCIUTI I SALVATORI

ETTORE PAGANI - 11/11/2011

A brevissimo tempo da un incidente letale, su un circuito, quale quello toccato a Simoncelli potrebbe anche sembrare paradossale tessere l’elogio di quanti – pur rimanendo ingiustamente illustrissimi ignoti – inventano, progettano e danno forma a mezzi di sicurezza che riducono al minimo le conseguenze mortali per i piloti e di gran numero anche quelle fratture che, una volta, rientravano un una frequentissima normalità.

Illustrissimi ignoti di cui proprio nessuno parla quando andrebbero adeguatamente celebrati -salvatori di vite quali sono – per la loro enorme maestria nell’approntare caschi di particolare sicurezza, tute con efficientissimi rinforzi e forme più o meno contorte ma, certamente, atte ad evitare impatti dannosi riducendo, enormemente, le conseguenze di qualsiasi caduta e restringendo gli incidenti mortali sostanzialmente ai casi di investimento del pilota, e rimasto sul tracciato, da parte di altre moto sopraggiunti.

La cosa è di tutta evidenza ma non molto tempo addietro la puntualizzava proprio Valentino Rossi che, in un intervista, classificandosi “somaro” per essere caduto a causa di una manovra sbagliata sottolineava proprio il fatto che, vuoi per i mezzi di protezione indossati vuoi per gli spazi di fuga esistenti ai bordi dei tracciati, le cadute non hanno quasi mai conseguenze letali per il pilota se non a seguito di investimento da parte di altro mezzo sopraggiungente. Così è stato per Simoncelli; così per il giovanissimo giapponese rimasto esamine sul tracciato non molto tempo addietro.

Ben diversa era la situazione in epoche passate quando i piloti protetti soltanto da un casco non sempre di particolare efficienza e, per il resto, da una normalissima tuta dovevano solo sperare nella fortuna per non finire in barella con fratture ad ogni caduta quando non, addirittura, restare esamini sull’asfalto, situazione che si verificava, certo, con assai maggior frequenza rispetto ad oggi.

Va precisato che i circuiti allora erano cittadini. Si correva, cioè, sulle vie di normale traffico che avevano ai margini i cordoli dei marciapiedi che, nel loro solido granito, non costituivano certo un comodo cuscino su cui approdare. Lo stesso asfalto della strada, stante la scarsa protezione del pilota provocava impatti quasi sempre da ricovero quando non letali. Le uniche protezioni del tracciato venivano da alcune balle di paglia poste sulle curve apparentemente più pericolose ma per il resto il pilota era esposto a totale e completo rischio. Situazione adeguatamente puntualizzata anche da Giacomo Agostini, grandissimo campione di quei tempi, nel corso di qualche intervento effettuato proprio dopo la morte di Simoncelli.

Grande, quindi, il merito di chi ha predisposto altri tracciati e ancor più grande, per genialità, quello di chi fornito ai piloti particolari accorgimenti di cui valersi per ridurre al minimo le conseguenze delle cadute.

Più ancora tutelati i piloti nell’automobilismo per essere sistemati in un abitacolo che nella sostanza, non subisce conseguenze di contraccolpi che pur essendo sufficienti a sfasciare letteralmente il mezzo lascia indenne il pilota nella sua “infrangibile” capsula.

Tutte immunità frutto (giova ripeterlo) della genialità di certi progettisti di cui sostanzialmente nulla si conosce.

Il che in un modo di gloria e di fama per tanti (troppi) altri non sembra molto appropriato.

Forse questi insoliti ignoti qualche citazione se la meriterebbero. Se non altro, appunto, per essere autentici salvatori di vite.

Nella foto: gara motociclistica degli anni Trenta a Luino

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