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Opinioni

LAVORO FEMMINILE E CRESCITA DELLA SOCIETÀ

LIVIO GHIRINGHELLI - 28/09/2012

Il 23 maggio scorso la Commissione del Senato, discutendo sulla riforma del lavoro, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che impegna il Governo a colmare il divario retributivo che ancora grava tra uomini e donne a parità di funzioni entro la data del 31 dicembre 2016. Si tratta di una misura di giustizia sostanziale che ormai si invoca da troppo tempo. Si consideri che da noi le donne dirigenti guadagnano il 2% in meno rispetto ai colleghi maschi, ma il divario salariale sale al 16% per quanto concerne gli impiegati e al 14% tra gli operai.

Se accolta, anche sul versante economico la parità occupazionale tra i due generi produrrebbe tra l’altro un incremento del PIL di vari punti, in relazione alla domanda di servizi di assistenza all’infanzia e agli anziani eccetera. In Italia (M. Ferrera, Il fattoreD. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia ? Milano 2009, 11) per ogni cento donne che entrano nel mercato del lavoro si creano altri 15 posti aggiuntivi. Dello stesso mese un rapporto dell’OCSE (Gender Equality in Education , Employment and Enterpreneurship: Final Report to the MCM 2012) sprona a contrastare il divario di genere per stimolare la crescita. Certo occorre organizzare i tempi di vita concernenti la famiglia e l’occupazione in termini di vera e autentica cultura della complementarità.

Di qui la necessità di organizzare gli orari lavorativi con grande flessibilità sia in entrata che in uscita, di favorire maggiormente l’istituto della banca delle ore (accantonamento di un numero di ore prestate oltre l’orario normale secondo un’entità definita per attingervi a favore di riposi compensativi), d’aprire molti più asili nido (purtroppo in Italia ai nidi pubblici sono iscritti solo meno del 10% dei bambini da zero a tre anni, tra l’altro con grandi differenze geografiche). Si aggiungano la condivisione delle responsabilità genitoriali, in termini per esempio di congedi esclusivi e retribuiti appieno riservati ai padri , indipendenti e sommati rispetto a quelli materni (al momento la riforma prevede soltanto tre giorni continuativi entro i primi 5 mesi di vita del bambino) e infine un piano territoriale degli orari.

L’Italia al momento quanto al differenziale di genere si colloca al 74% posto su 135 paesi (punteggio pari a 0,68). Se in relazione agli indicatori dell’istruzione e della salute raggiungiamo l’obiettivo , non è così per la partecipazione e le opportunità in campo economico (qui si scende allo 0,59) e per la rappresentanza politica (responsabilità ricoperte). Qui ci si abbassa addirittura allo 0,15. Per l’aspetto economico si contemplano occupazione , differenze salariali, lavori ad alta specializzazione. Nel 2011 il tasso di occupazione femminile sulle donne in età attiva tra i 15 e i 64 anni è stato del 46,5% rispetto al 67,5% degli uomini, il dato peggiore in Europa. Se ci riferiamo alle diverse aree geografiche ci si colloca al 56,6% al Nord, al 51,7% al centro, mentre si scende notevolmente al Sud (30,8%). Quanto alle aree disciplinari post laurea il differenziale retributivo è pari al 6% in ambito umanistico e ingegneristico, superiore al 9% per i laureati in area scientifica. Solo che ad ottimi risultati universitari non sempre corrispondono prospettive lavorative adeguate.

Nel 2011 il numero medio dei figli per donna è stato di 1,42 (di 2 per la Francia). La soglia di rimpiazzo è invece di 2,1. A smentire uno dei soliti pregiudizi a un alto tasso di occupazione femminile corrisponde un tasso di fecondità altrettanto alto, se però i sistemi di welfare risultano adeguati (in Italia vedi il caso di Emilia-Romagna). Va comunque precisato che il lavoro fuori casa della madre è solo uno dei molteplici aspetti che condizionano il benessere dei bambini.

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