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Opinioni

IL POTERE D’INTERDIZIONE DELLE BUROCRAZIE

CESARE CHIERICATI - 05/10/2012

A pagina cinque del Corriere della Sera di martedì 2 ottobre, a firma Antonio Pascale, vi è il racconto di un episodio incredibile, ma assolutamente emblematico alle italiche latitudini, capitato all’autore quando lavorava come funzionario al Ministero delle Politiche agricole. Il fatto in estrema sintesi è questo: il primo giorno di lavoro ministeriale il Pascale viene invitato dall’anziano direttore a leggere una circolare esplicativa che, come dice la parola stessa, avrebbe dovuto spiegare con precisazioni e dettagli una norma o un regolamento.

Il giovane funzionario legge e rilegge il testo caratterizzato da “subordinate che si inseguivano senza tregua e da snervanti rimandi” scanditi da lettere e codicilli. Il Pascale, visibilmente imbarazzato, si reca dal direttore e gli comunica di “non aver capito nulla”. Al che il superburocrate replicò “con un mezzo sorriso: bene, allora è perfetta”. Correva l’anno 1989 e da allora crediamo che ben poco sia mutato, soprattutto non è cambiata la ragione di fondo che spingeva il direttore ad incitare i suoi collaboratori alla nebulosità e all’azzeccagarbuglismo: il potere. Perché meno il cittadino comprende e maggiore è la discrezionalità dell’amministrazione nell’interpretare e quindi nel decidere.

“Le leggi non devono mai essere chiare – commenta Pascale -, perché se lo sono, con la chiarezza forniamo potere a chi legge. Il Superiore Ministero deve mantenere la possibilità della interpretazione autentica”. Una prerogativa non solo rivendicata dal Superiore Ministero ma anche dal semplice assessorato regionale, comunale, provinciale, dai carrozzoni tipo Alitalia e RAI, dagli enti previdenziali e quant’altri compresi naturalmente quelli più volte ufficialmente soppressi e mai effettivamente cancellati. In realtà in Italia la burocrazia è il potere più forte e stratificato che esiste e mai realmente aggredito in profondità dalla politica. Alla burocrazia delle Stato savoiardo si è sommata quella poliziesca e prefettizia del ventennio fascista che l’età repubblicana non è mai riuscita a riformare in profondità, dato e non concesso che la volontà riformatrice ci fosse.

La nostra vita civile è del resto scandita dal varo di misure legislative, di solito già cervellotiche e contraddittorie in radice che poi vengono tradotte da provvedimenti d’attuazione e circolari esplicative del tipo sopra indicato. Senza contare – fatto tutt’altro che trascurabile – che il tutto spesso diventa operativo con enormi ritardi anche per casi d’emergenza. Ne stanno facendo esperienza, come altri prima di loro, i nuovi terremotati dell’Emilia e della bassa Lombardia.

È vero negli ultimi anni qualche progresso è avvenuto, i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini sono un po’ migliorati grazie alla legge sull’autocertificazione e a quella sulla trasparenza. Tuttavia alla luce di quanto le cronache raccontano in fatto di corruzione, malversazioni, cattiva gestione della spesa pubblica, si deve concludere che il differenziale esistente tra i nostri BPS e i Bund tedeschi non è il solo differenziale di cui seriamente preoccuparci.

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