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Chiesa

PRIVILEGIARE IL SERVIZIO AL POTERE

LIVIO GHIRINGHELLI - 05/10/2012

A un mese dalla sua scomparsa val la pena di meditare sul testamento di fede e di vita che Martini ci ha lasciato, volendo prescindere soprattutto da certe valutazioni di parte ideologica e politica fuorvianti e assolutamente aliene dalla verità: l’agonia del Cardinale interpretata in chiave spot per l’eutanasia dalla cultura radicale, l’accaparramento del suo messaggio in chiave di tornaconto partitico, mentre la cosiddetta destra non ha sostanzialmente partecipato alle esequie con una presenza di rilievo (tranne che in un caso). Semplice resa la sua alla conclusione naturale dell’esistenza secondo i segni della volontà divina, senza accanimento terapeutico (è pure la lezione ufficiale della Chiesa, la morte, tema ricorrente, vista come occasione di mettere in crisi se stessi e di rischiare attraverso l’umana paura, per attingere necessariamente alla luce. Perché la fede è prologo di speranza. Martini ha semplicemente rivendicato il diritto di rinunciare a terapie, che in tutta libertà ha scelto di valutare sproporzionate, questo alla luce biblica del Qohelet. In un’epoca in cui le nuove tecnologie consentono interventi sempre più efficaci sul corpo umano, si è avvalso di un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti, quando non sono più stati di giovamento alla persona nel corso naturale

Per lui la fede era (ed è) la stessa nel nocciolo fondamentale di verità, ma bisognosa di mutare nelle forme e negli stili dell’evangelizzazione secondo i tempi e soprattutto proposta, anziché posta, non aggiungendo nulla che appesantisca e irrigidisca il messaggio. Aveva a cuore una Chiesa che non insegue il potere, ma pratica il servizio, che alla condanna preferisce la misericordia, che è consapevole delle sofferenze quasi insopportabili, che affliggono tanta parte dell’umanità, che si rivolge all’uomo nella sua interezza. Radicato nella storia della sua Gerusalemme, si rivolgeva al passato senza nostalgie, per trarne forza di continuo rinnovamento. Il futuro lo costruiscono i sognatori. Preoccupato per le sorti della Chiesa, in ritardo su alcune sensibilità (v. il problema dei divorziati, della condizione femminile, di una sessualità non ghettizzata ed esorcizzata senza soluzioni ecc.) auspicava un altro Concilio, che si mettesse in ascolto dei drammi dell’uomo peccatore e degli sviluppi della scienza, per esercitare tutta la sua sollecitudine verso chi ha bisogno, materialmente e spiritualmente, nell’aspirazione a un miglioramento continuo dell’uomo.

Era plasmato dalla realtà, ma non un pessimista comunque, coraggioso nel prendere il largo. Gesù era l’amico con cui viveva anche un rapporto emozionale. Al primo posto sempre la Parola di Dio, il dogma inteso solo come una lingua auxiliaris. E nella fedeltà assoluta all’imperativo invocazione del Signore – ut unum sint –s’adoperava per la comunione dei cristiani nella molteplicità dei doni di Dio, ampliando la prospettiva verso gli ebrei nostri fratelli maggiori ed altre credenze religiose, scorgendovi pure una presenza sia pur larvata o parziale della divinità. La sua era una civiltà del dialogo, perché in fondo la polemica può svilupparsi soltanto tra chi pensa e chi non pensa.

Martini non demonizzava i mezzi di comunicazione (risorse per la Chiesa stessa), quasi fossero espressione del male, ma non li voleva governati da ipocrisia e cinismo. Di qui la necessità di una vigilanza attenta e del discernimento critico. Serrato e critico il confronto con la TV. Nella pastorale del 1991 – Il lembo del mantello – vedeva grazie all’episodio evangelico della guarigione al semplice contatto col mantello di Gesù la folla anonima che si accalca fruitrice passiva dei mezzi di massa, da cui si deve emergere criticamente.

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