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Libri

ODISSEA DELL’EMIGRAZIONE

DINO AZZALIN - 19/10/2012

Clariste Soh-Moubè

Mi ha colpito molto la testimonianza raccontata nel libro  “La trappola” di Clariste Soh-Moubè (Infinito edizioni)  con le prefazioni di Aminata Traoré, ex ministro della cultura del Mali, Dagmawi Yimer e Giulio Cederna, eminenti studiosi del continente nero. È la storia di una giovane donna, camerunese, bella, africana, calciatrice che accarezzava  un sogno, l’Europa, che si chiama Mbeng. Ma non è un racconto di viaggio patinato o esotico, semplicemente un pezzo di vita  fatta di settemila chilometri in otto anni. Un percorso mai comodo, quasi mai felice, piuttosto lungo e tortuoso nel tempo e nello spazio, di una  ragazzina che aggrappata al football per avvicinare l’Europa, tentava di dare una svolta alla sua vita.

“La Trappola” è la storia invece di un inganno, di un sogno – la fortezza Mbeng – che è illusione, un tragico miraggio. Ma è anche la narrazione di una rinascita, ritornando all’Africa, nella sua terra dove Clariste sviluppa un nuovo pensiero: quello del riscatto attraverso le parole, descrivendo la sua avventura umana, i soprusi, le sue aspettative infrante, in questo libro.  Infatti, durante questi tentativi di vedere in faccia il sogno, Clariste viene umiliata, derubata, violentata, imprigionata, e l’interrogativo alla fine del libro è quello di chiedersi come sarebbe stata la vita al suo villaggio se non avesse intrapreso quel viaggio.

Dagmawi Yime scrive a tale proposito “La testimonianza di Clariste ha il merito di illuminare dall’interno la Trappola: il paradosso di un mondo che ha globalizzato i bisogni e georeferenziato i diritti, promesso lo scambio universale dei sogni e delle merci, e costruito muri altissimi per arginare la libera circolazione degli esseri umani” Ecco, sta qui la bellezza del libro, la chiave e l’interpretazione del messaggio letterario e umano, che Clariste ha voluto comunicarci, perché nulla sarebbe accaduto, forse, se si fosse accontentata, dei ritmi, lenti e poveri del suo villaggio.

Ma con una illuminazione improvvisa e perentoria: davvero l’emigrazione è sempre l’inizio o il coronamento di un sogno? Non è così certo nel caso di Clariste, invero un incubo, ma paradossalmente senza il quale, senza questo dolore lasciato sulle sue labbra e nel cuore sarebbe scaturita una fortuna impensata, proprio da quel  diario, tanto duramente scritto e sofferto durante la sua terribile avventura. Questo la renderà famosa, tanto da poter percorrere l’Europa in lungo e in largo, come se davvero l’articolo 13 dei Diritti dell’Uomo fosse finalmente l’obiettivo raggiunto: chiunque della razza umana ha il diritto di circolare per il Mondo.  Quell’articolo tanto negato a Clariste per cui ogni individuo ha il diritto di uscire e tornare al proprio Paese, e tanto ignorato dai sui carcerieri, trattata come una “merce di scambio” dai suoi aguzzini, vista come chi non ha valore, perché donna umiliata e povera, oggi la rende donna libera.

E non è vero che sempre l’Europa è meglio dell’Africa che si lascia alle spalle. Chiunque leggerà questo libro dovrà riflettere profondamente quando si trova davanti a una persona che ha vissuto questa odissea, perché è facile dire extracomunitario, come dire sradicamento, dolore. Ricordiamoci che dietro ognuno di loro  può celarsi chi viene pestato, chi è stato ammazzato, annegato in mare o stuprata come il caso di Clariste. Attraverso questo racconto ho intravisto le donne e le ragazze che hanno viaggiato con Clariste. Donne con nomi e cognomi, che hanno lasciato dietro madri, padri, fratelli, figli, prima che questo viaggio le spogliasse di tutto. Perché come è scritto nel libro c’è un proverbio che dice “Ognuno di noi ha il suo giorno dal parrucchiere e chi parte, come sostiene Giulio Cederna nella prefazione, è un viaggiatore, sempre, e la sua meta il paradiso, ma il viaggio può diventare una lotta  dove tornare indietro è impossibile, fermarsi è pericoloso, e per vivere ogni giorno bisogna inventarsi una strada.

Ecco, io credo che l’Europa, quella recentemente insignita del premio Nobel per la Pace, formata da 500 milioni di persone tra le quali ci siamo anche noi, se vuole davvero che questo premio non sia solo una “impensabile provocazione”, deve  capire che che ogni vita umana è sacra, e ha il diritto di tentare ogni cosa, la fortuna o il riscatto, per il breve tragitto umano che il destino ha messo a disposizione, su questo pianeta.

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