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Società

IL BAMBINO DIMEZZATO

LUISA NEGRI - 26/10/2012

Qualcuno ha ricordato l’esempio della saggezza di Salomone, che di fronte alla contesa per un bimbo tra due madri, la vera e la finta, propose loro di dividere il figlio a metà. Naturalmente la vera madre si rifiutò, rinunciando, e dichiarando così il suo amore di autentica madre. Quel qualcuno è un giornalista di buon senso, il direttore del settimanale “Oggi” Umberto Brindani intervenuto, come tanti colleghi, sul tema del bambino di Padova prelevato a scuola, e strattonato e costretto dalle forze dell’ordine e dai servizi sociali a finire in una casa protetta. Dove ora si trova suo malgrado e dove dovrebbe essere trattato per essere guarito dalla PAS, ambigua sigla di una presunta sindrome da alienazione genitoriale, la cui configurazione clinica è ancor più ambigua nella sua dubbia dimostrabilità.

Nessuno dovrebbe mettere il naso in certe faccende private, meno che mai la stampa, ha detto qualcun altro. Ma quando simili fatti, anzi fattacci, vengono dati in pasto all’opinione pubblica dagli stessi familiari e da coloro che sono deputati a salvaguardare la salute fisica e mentale di un minore, sarebbe invece sbagliato non far sentire la voce dell’indignazione, proprio perché simili episodi non abbiano più a ripetersi. Al bambino in questione, un bimbo di dieci anni più che sveglio, meritevole e quasi geniale a scuola, a giudicare dai voti e dalle opinioni espresse dagli insegnanti, il fatto è in realtà accaduto altre volte, già braccato, in tentativi malriusciti, per disposizioni superiori di magistrati e servizi sociali, senza che la sua volontà fosse tenuta mai in alcun conto. Anni di persecuzione, a ben vedere, a partire dall’età di quattro, come ha raccontato la madre, cui è stata tolta la potestà con l’accusa di non far vedere il figlio al padre. Pare anzi che una coppia di carabinieri si fosse rifiutata già una volta di usare la forza per prelevare il bambino, che per sottrarsi alle disposizioni paterne si era rifugiato sotto il letto di casa, terrorizzato dalla paura di entrare in istituto.

Non gradite al bambino erano da tempo risultate le visite al genitore, impostegli dal tribunale e dai servizi sociali. I due carabinieri, usando anziché la forza il personale buon senso, non avevano consentito a trattare come un delinquente il bambino, vittima di un’assurda contesa genitoriale e accusato dal padre di essere plagiato dalla famiglia materna. Valgono due sole considerazioni: un essere umano, ancorché minore, non può essere strattonato da una parte o dall’altra senza che si tenga in alcun conto la sua opinione, tanto più quando ci sono evidenti segni di una ben precisa e marcata volontà dell’interessato. Né lo si può obbligare a lasciare la sua casa come fosse un oggetto. Seconda considerazione: l’amore non lo si ottiene con la forza, né con le cure di estranei chiamati a cambiare la testa di un bambino. Lo si guadagna sul campo con una più forte dose di amore, con la pazienza, con l’ascolto, con la gentilezza, con quel senso di responsabilità attenta e sensibile che fa di una coppia di genitori un padre e una madre veri.

Al bambino, del quale anche noi ci siamo fatti i fatti suoi, convinti che in certi casi non si debba stare zitti, va l’augurio che la sua intelligenza e la sua voglia di autodeterminazione lo sorreggano e lo aiutino nel tempo ad affermare una personalità libera da pregiudizi. E serena. Nonostante il male e il torto subito, nonostante l’ignoranza di adulti titolati, laureati o chiamati ricoprire incarichi di educatori. Ci riferiamo all’ignoranza del buon senso e dell’amore. La peggior erba che possa crescere nel terreno in cui dovrebbe germogliare il seme prezioso dell’autentica educazione.

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