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Politica

L’ERRORE DI SEPARARE LA POLITICA DALL’ECONOMIA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 13/11/2011

La gravissima crisi economica che ha colpito il mondo occidentale evoluto ha origine nella globalizzazione che ha separato la politica dall’economia. L’economia globalizzata produce differenze di reddito sempre maggiori tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri e tra le classi privilegiate e il resto della popolazione all’interno delle società.

L’Italia è l’anello debole dell’area europea perché, pur essendo la terza economia dell’Unione, ha un elevatissimo debito pregresso che ci costringe a pagare miliardi di interessi per il suo finanziamento.

Le istituzioni politiche rimangono locali mentre i poteri reali che decidono della nostra vita sono universali; il risultato è che l’economia finanziaria è diventata l’ “area della non politica” e l’intervento degli Stati nazionali risulta difficile e non risolutivo.

Le transazioni finanziarie raggiungono un volume di millecinquecento milioni di dollari al giorno, cinquanta volte di più degli scambi commerciali globali. In questo contesto nessuno Stato è in  grado di resistere con successo ai mercati privi di regole, ma se si lasciano andare le cose senza intervenire si passa da una crisi all’altra e si compromette il futuro.

Se si vuole contrastare un potere libero di vagare in uno spazio incontrollato, la politica deve uscire dai confini nazionali e coordinarsi a livello europeo e mondiale. Manca però la volontà politica che nel dopoguerra, con gli accordi di Bretton Woods del 1944, inaugurò l’età del benessere.

Servono politiche a medio e lungo termine ma sono anche necessari provvedimenti incisivi e urgenti. Essendo già molto alto il prelievo fiscale occorre tassare le grandi ricchezze del ceto privilegiato in modo da creare disponibilità per sostenere la competitività delle aziende e il reddito dei lavoratori e pensionati e riformare lo Stato di sicurezza sociale, abbattendo i privilegi come le pensioni di anzianità, ma assicurando il salario minimo a chi non ha lavoro o l’ha perso.

La spesa pubblica, più che tagliata indiscriminatamente, va riqualificata, cominciando con l’abolire gli enti inutili e ridimensionando il “ceto che vive di politica” (non solo i rappresentanti eletti, ma la pletora di dirigenti, consulenti e portaborse).

La supremazia dell’economia finanziaria ha travolto molti dei punti di riferimento che davano solidità e stabilità al mondo; la società post-moderna e globalizzata ha polverizzato le identità, ha deregolamentato i rapporti interpersonali, ha dissolto il concetto di etica e ha provocato la frammentazione della vita. L’insicurezza che ne consegue ostacola le persone  a occuparsi di valori che si innalzino oltre il livello delle  preoccupazioni quotidiane.

In questo contesto nessuno Stato è in grado di resistere con possibilità di successo alle pressioni speculative dei mercati senza regole e la politica è impossibilitata a disegnare il modello della società giusta, lasciando prevalere quella che il sociologo Ulrich Becck ha definito come la “società del rischio”.

Se ci si concentra unicamente sulla questione della gestione del contingente non siamo più in grado di prevenire sia i disastri naturali derivanti dal degrado ambientale, ma anche quelli umani  che derivano dal prevalere di una logica di avidità  che impoverisce il mondo a vantaggio di poche categorie di privilegiati.

L’ordine neo-liberista del “lasciar fare” diventa in realtà un caos organizzato dove sono i più deboli a sopportare i sacrifici e, non di rado, a soccombere nella dura lotta per la sopravvivenza.

All’inizio dell’Ottocento la Gran Bretagna mosse guerra alla Cina per difendere il capitalismo e il libero commercio, appena inventati dal’economista Adam Smith; il principio del “free trade” fu invocato per giustificare l’esportazione di oppio che stava distruggendo intere generazioni di cinesi ma che permetteva agli inglesi di rivalersi dell’esborso di sterline per acquistare il pregiatissimo the. L’oppio proveniva dalla regione del Bihar, granaio dell’India, a cui venne imposta la monocultura del papavero che la ridusse alla fame.

L’assoluta libertà delle transazioni commerciale e soprattutto di quelle  finanziarie (per lucrare sulla esportazione di  ingenti masse di capitale) devono trovare un limite nelle regole suggerite dalla morale e devono tradursi in leggi fatte osservare dalle organizzazioni internazionali.

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