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Cultura

I QUADRONI DI SAN CARLO

PAOLA VIOTTO - 03/11/2012

Il 3 novembre 1584 moriva a soli quarantasei anni l’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, la cui azione aveva inciso profondamente sulla vita della Diocesi e di tutta la Chiesa. Con un iter rapidissimo per l’epoca venne beatificato nel 1603 e canonizzato nel 1610. In coincidenza con la beatificazione venne realizzato un ciclo di dipinti dedicato alla sua vita e realizzato dai migliori artisti dell’epoca, a cui fece seguito per la canonizzazione un secondo ciclo dedicato ai miracoli. I cosiddetti “Quadroni di San Carlo”, che comprendono alcuni delle opere più importanti de Seicento lombardo vengono esposti ancora oggi nel Duomo durante il mese di novembre.

Essi furono anche modello e stimolo per una quantità di opere dedicate al Santo e diffuse nelle parrocchie di tutta la Diocesi a testimonianza di come la pittura fosse a quel tempo un veicolo di comunicazione visiva potente ed efficace quanto oggi potrebbero esserlo la televisione o la rete.

Le opere sparse nelle chiese del territorio sono di qualità molto differenziata. Alcuni sono veri e propri capolavori usciti dagli atelier degli stessi artisti attivi per i quadroni, come nel caso della tela con San Carlo in gloria del Morazzone conservata a Caronno Varesino. Altri sono dipinti popolareschi, come il ciclo di affreschi di Biasca, in una delle estreme propaggini della Diocesi, in cui le scene della vita del Santo sono accompagnate da scritte esplicative, secondo la stessa logica che oggi troviamo nei fumetti.

L’opera che meglio fa rivivere lo spirito dei quadroni del Duomo si trova però nel Santuario della Madonna della Riva ad Angera.

Oggi è appesa sulla parete della chiesa, ma in origine serviva per riparare l’organo, strumento musicale molto prezioso e delicato, che nel seicento veniva abitualmente protetto da una sorta di armadio di legno chiuso da ante dipinte. Le ante dell’organo di Angera quando erano aperte mostravano da una parte l’Ascensione e dall’altra l’Assunzione, quando invece erano chiuse formavano un grande quadro con la Visita di San Carlo alle Tre valli svizzere. L’opera venne commissionata da Margherita Castiglioni con un lascito testamentario nel 1602, l’anno in cui si stava svolgendo il processo di canonizzazione e in cui a Milano si stava apprestando la prima serie di quadroni. La sua presenza ad Angera si spiega evidentemente con l’importanza che la famiglia Borromeo rivestiva nella zona, ma l’episodio scelto risulta particolarmente significativo. Tra tutte le vicende dell’intensissima vita di San Carlo è stata infatti data la preferenza ad un aspetto che colpì molto i contemporanei: la sua volontà di giungere nei luoghi più lontani della sua Diocesi, a dispetto delle difficoltà e delle fatiche.

Le tre valli svizzere, Riviera, Blenio e Leventina, erano infatti molto distanti da Milano ed erano state a lungo trascurate dagli arcivescovi precedenti. San Carlo le percorse tutte, così come si inerpicò sulle montagne intorno al lago Maggiore, avventurandosi sui sentieri più impervi della Val Veddasca o della Val Dumentina. Montagne scoscese e nubi tempestose si vedono anche sullo sfondo della tela di Angera. L’Arcivescovo arriva preceduto dalla croce, vestito da viaggio, con il cappello a larghe tese che portava in queste occasioni per ripararsi dalle intemperie. L’unica licenza che il pittore si è preso è quella di immaginarlo a cavallo di uno scalpitante destriero bianco, invece che sulla groppa della fedele mula di cui parlano le cronache, animale meno prestigioso ma ben più adatto ad affrontare i percorsi di montagna. Per il resto l’artista si uniforma allo stile dei quadroni, per dar vita ad un’opera forse un po’ retorica ma nobile e coinvolgente, secondo le indicazioni che lo stesso San Carlo aveva dato per la realizzazione di quadri sacri. Un bravo artista quindi, che però resta anonimo per mancanza di documenti, nonostante gli storici dell’arte abbiano fatto molte ipotesi, da Isidoro Bianchi al Landriani, dal Genovesino a Camillo Procaccini. Meglio così forse, perché quest’opera testimonia non tanto la bravura di un singolo quanto lo spirito di un’epoca.

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