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Ambiente

VARESE NON È PIÙ CITTÀ GIARDINO

ARTURO BORTOLUZZI - 23/11/2012

Fa specie leggere, qualche giorno fa, sul Sole 24 Ore, come Varese non sia più considerata a livello nazionale una città che predilige l’ambiente. A Varese sono preferite Novara, Alessandria, Monza, Piacenza, Udine, Ravenna, Reggio Emilia, Perugia, Catanzaro, Messina.

Ho partecipato alla riunione convocata dall’assessore all’urbanistica, che aveva quale scopo quello di tratteggiare gli elementi costitutivi della gestione del territorio. Ho avuto segnali, al di là di valutazioni più specifiche e a una documentazione più completa, volti alla conservazione territoriale sui quali non posso che concordare.

Ma c’è qualche proposta assolutamente innovativa e prorompente per il futuro della città di Varese? La risposta che mi sento di dare è un no.

Invece ho la speranza che il prossimo Pgt possa lanciare un segnale molto forte che vada nei fatti a contrastare quanto proclamato dal giornale di cui sopra, fornendo la prova come lo stesso abbia fatto errori di valutazione e come Varese sia a tutti gli effetti la vera e propria città giardino.

Proposta innovativa e prorompente potrebbe essere quella di legare il Pgt al dibattito che a livello nazionale si sta facendo sulla Smart city, di cui s’è già detto. Un’idea da approfondire.

Nel 1854 l’epidemia di colera che flagellava Londra venne fermata grazie a quella che è considerata tuttora la prima applicazione della città intelligente. Un medico, John Snow, ebbe l’idea di mappare i casi di contagio direttamente sulla cartina della città. Fu così che l’epicentro del contagio venne identificata in una fontana pubblica a Broad Street (oggi Broadwick). Con la chiusura della pompa il numero di casi iniziò immediatamente a scendere.

È il primo significativo esempio di utilizzo dei dati prodotti inconsapevolmente dalle persone per ottimizzare i servizi all’interno delle città, ciò che in slang contemporaneo si chiama Big Data. Ed è questo il cuore della sfida che si trovano ad affrontare le città del nuovo millennio. Bastano pochi numeri per comprendere la posta in gioco: più del 50% della popolazione mondiale si trova già oggi concentrata sul 2% del territorio globale, consumando tre quarti dell’energia e producendo l’80% dei gas serra, ed è dalle seicento città più grandi che arriverà più della metà del Pil globale. È necessario quindi che questi agglomerati crescano all’insegna dell’efficienza e del miglioramento della qualità della vita anche attraverso l’uso intelligente dei dati.

Per sostenere le città italiane, medie e grandi, in questa sfida Cittalia, l’ufficio studi dell’Anci, l’associazione che raggruppa i comuni italiani, ha elaborato per conto di Siemens una rilevazione della situazione attuale e delle prospettive nel cammino verso la Smart City. Per una crescita sostenibile, vale a dire possibile, è necessaria la convergenza dell’istruzione complessiva dei cittadini di una smart economy fatta di infrastrutture e investimenti e di una governante che sia basata su una visione.

Sulla strada verso la città intelligente la disponibilità delle tecnologie deve andare di pari passo con un cambio di prospettiva. A partire dal coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni (e nelle scelte di indirizzo, sia con la semplice rilevazione dei comportamenti attraverso i sensori sia con la condivisione via social network). Quello che è chiaro e che la via italiana delle Smart City deve avere sue specificità che si fondono sulla cultura e sulla storia italiana. Le città italiane hanno una struttura e una storia uniche al mondo con uno sviluppo orizzontale e concentrato in pochi chilometri quadrati. Il know-how nazionale deve divenire un valore economico per il paese.

Troppo spesso, invece, ancora oggi le città agiscono come se il modello fosse unico, puntando sugli stessi lettori. Così la ricerca di Cittalia evidenzia come gli investimenti dei Comuni italiani nei piani triennali di intervento delle singole città, siano dominati dalla mobilità: 10,7 miliardi di euro, quasi la metà degli interventi previsti per la sostenibilità. Magari anche quando la mobilità non è una priorità per il comune.

La Smart City nasce da una policy complessiva ed è integrata con una strategia di fondo, non da tanti interventi settoriali parcellizzati. È un errore che le città fanno spesso: partono con singoli investimenti senza avere una visione complessiva. Il rapporto delinea quindi dei cluster di città sulla base dell’omogeneità di problemi e di risposte proprio per favorire il confronto con politiche e priorità simili, dal trasporto alla sanità, dall’energia al territorio.

Si torna sempre allo stesso punto fatto presente da molte voci: nel momento in cui i Comuni denunciano una evidente carenza di risorse, e allo stesso tempo sono sottoposti alla pressione dei cittadini per un’azione immediata, agiscono in un’ottica di breve periodo. Le città sono, invece, chiamate ad avere una visione di lungo periodo. Che vada oltre il loro mandato elettorale, il che evidentemente rappresenta un problema. La Smart City diventa davvero intelligente (e vincente) se si cambia la prospettiva. Bisogna ripensare la città come luogo di produzione e di sviluppo dell’economia della conoscenza non solo come semplice base di consumi di da razionalizzare e organizzare.

Ogni città deve, quindi, individuare una propria vocazione produttiva, non necessariamente standardizzata ad altri modelli. Un esempio per tutti? La città di Reggio Emilia, che ha saputo trasformare la sua specializzazione nell’educazione in un’eccellenza a livello globale e in una risorsa economica. Da questo devono ripartire le città italiane, da un visione integrata e di lungo periodo.

Si trovi la possibilità di valutare anche la ratio di questa metodica di pianificazione fatta propria anche dalla comunità europea.

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