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Editoriale

QUEST’UOMO

MASSIMO LODI - 14/12/2012

“Un uomo non dovrebbe mai vergognarsi di confessare d’aver avuto torto: è, infatti, un po’ come dire – in altri termini – che oggi egli è più saggio di quanto non fosse ieri”. Questo era il suggerimento dell’autore dei “Viaggi di Gulliver”, quasi trecent’anni fa. Dargli retta? Ascoltare (leggere) le parole di Jonathan Swift? Non scherziamo. Mai ammettere d’aver sbagliato, e trascinato sull’orlo del fallimento un Paese, e messo a rischio (a rischio d’estinzioni) gli stipendi, le pensioni, i risparmi di milioni di cittadini. Di tutti gl’italiani.

Quest’uomo che evita di giudicarsi, che va in fuga dal senso dello Stato, che non subordina i suoi interessi a quelli d’un popolo, che ha sgovernato per otto dei dieci anni precedenti la supplenza di Mario Monti, che ci ha costretti a pagare milionate di tasse per chiudere il colossale buco della finanza pubblica di cui è autorevole corresponsabile; quest’uomo smentisce d’essere incorso in errori, non si scusa dei deragliamenti etici e delle promesse inevase, non si fa sobriamente da parte come il buon senso (almeno il buon senso) gli consiglierebbe.

Quest’uomo ribalta le sue colpe sugli altri, dimentica il getto della spugna per manifesta incapacità nel novembre 2011, scorda d’aver favorito la costituzione d’un governo tecnico sostenendolo per dodici mesi filati, trascura d’essere stato l’azionista di maggioranza dell’esecutivo oggi affondato. Quest’uomo ossessionato dalla magistratura rossa, dai fantasmi del comunismo, dall’informazione partigiana ha causato in un amen il precipitare delle quotazioni della Borsa e l’impennare dei livelli dello spread; ha riconsegnato all’Europa e al mondo l’immagine di un’Italia inaffidabile e pericolosa; ha ghiacciato milioni di famiglie obbligate nei mesi scorsi, e ancora in questi giorni di pagamento dell’IMU, a sacrifici che hanno ottime probabilità di non essere serviti a nulla.

Quest’uomo ha sempre ragione, mai torto. Sostenuto dagli elogi, dalle lusinghe, dalle adulazioni del servilismo più cupo, evita di simpatizzare – come avremmo voluto che simpatizzasse – con le sofferenze moltitudinarie. Non si raccorda con la condizione spirituale, oltre che materiale, dei tanti per i quali esiste solo il peggio invece del meglio. Non partecipa del drammatico sforzo comune per uscire dalla melma in cui una svergognata classe politica ha calato la gente perbene. Quest’uomo forse pensa che v’è qualcosa di singolarmente noioso nella felicità di un altro. O che un’altra felicità, tranne che la propria, non sia concepibile e forse non esista. Oppure che l’altro sia davvero un altro, e non invece e in qualche modo la proiezione (la realizzazione) di se stessi. Quest’uomo è come se avesse gli occhi dell’anima coperti da un velo che impedisce la vista di ciò che davvero rappresenta la vita, e della vita riceve l’immagine meno realistica. Quest’uomo dà l’idea di scorgere solo ombre che camminano attorno a lui, e non sa più individuare il percorso giusto da seguire. Che uomo è questo?

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