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Attualità

PAESI ANCORA CONTRO L’AMBIENTE

LIVIO GHIRINGHELLI - 14/12/2012

A Doha, nel Qatar, paese dell’OPEC, si è svolto il teatro del nuovo round di negoziati ONU sull’ambiente in relazione al cambiamento climatico, in attesa di un Kyoto atto secondo. Preoccupa il fatto che per il 2020 si prevedono 58 miliardi di tonnellate di emissioni (il contributo dell’Italia è di 580 milioni) e ci avviamo a un aumento su scala globale di 4 gradi centigradi. Si constata che intanto gli aiuti ai paesi poveri si sono concretizzati solo in parte e il vero nodo nell’affrontare il problema consiste nelle misure insufficienti adottate dai paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Sudafrica). Già la frattura fra i blocchi ha fatto arenare i negoziati nel 2009 e il fronte dei sostenitori di Kyoto si è sfilacciato; ad esempio Russia, Giappone e Canada si sono chiamati fuori, mentre l’Europa ha confermato l’impegno discusso a Durban di una riduzione dei gas serra immersi in atmosfera pari al 20% rispetto ai livelli accusati nel 1990. A darle man forte sono rimasti pochi volonterosi come l’Australia nella lotta al global warming. Certo l’impegno è condizionato negativamente dalle politiche per la crescita economica, mentre inadeguata è ancora la volontà di attuare un’innovazione tecnologica imponente nel campo delle energie rinnovabili.

Ora è tempo di uscire dall’immobilismo dei governi, accogliendo le istanze della protesta movimentista. Non si può accettare una situazione, che vede protagonisti nell’emissione di Co2 (anno 2010) paesi come Cina, Usa, India, Russia, Giappone nell’ordine e a scalare Germania, Sud Corea, Iran, Canada, Regno Unito. In corrispondenza stenta ad affiorare il concetto di economia verde, non si combatte l’erosione del reddito dei produttori agricoli, non si favorisce abbastanza la coltivazione senza alcun impiego di fitofarmaci (scarsa è l’imprenditoria del biologico), ogni giorno si perdono cento ettari di terre coltivate, si trascura la conservazione del suolo e non si oppone uno stop al consumo di territorio, a difesa dalla cementificazione.

Modelli alternativi alla civiltà del consumo, che degrada l’ambiente a volte in modo irreversibile, stanno nel riutilizzare tutto, non generando scarti e rifiuti irrazionalmente, nell’uso parco delle risorse, nel riciclo intelligente dei materiali. Vanno recuperati modelli di sviluppo alternativi. Al fondo sta l’economia del dono, che ribalta tutte le premesse utilitaristiche dello scambio, mentre si devono privilegiare tutte le esperienze di economia comunitaria a riforma del capitalismo.

Per quanto concerne l’Italia è d’estrema attualità al momento curare i rimedi all’elevato rischio idrogeologico, che investe i nostri Comuni per il 7,1% del territorio nazionale (si tratta di ben 5.708 centri interessati su 8.101). Alla ribalta Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Calabria, Valle d’Aosta. L’erosione costiera incide fortemente in termini di perdita di superficie e predispone alle calamità. Le regioni più interessate sono Puglia, Basilicata e Molise, mentre il fenomeno è minore in Emilia Romagna, Veneto e Friuli. Si notano abbassamenti del suolo in forma lenta e graduale con fenomeni di subsidenza o in forma repentina e catastrofica.

Da una parte stanno movimenti tettonici e l’estrazione di fluidi dal sottosuolo, dall’altra doline di crollo, sprofondamenti o camini di collasso. Si aggiungono le frane (dal quindicesimo secolo alla fine del ventesimo si è assistito a 996 eventi, distribuiti su una superficie di 20.721 kmq con 12.141 vittime o dispersi). Infine le alluvioni: Polesine (1951), Arno (1966), bacino del Po intero (1994 e 2000), con tutte le conseguenze (trasporto di materiale solido, inquinanti, mancanza di acqua potabile e così via).

Il problema più rilevante da discutere è: che futuro vogliamo? Quali responsabilità assumere verso le generazioni future?

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