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Attualità

2013, COMINCIA L’ANNO DELLA SVOLTA

GIANFRANCO FABI - 04/01/2013

Previsioni o profezie? Guardare al futuro è una parte integrante dell’economia. Al di là dei bisogni immediati, tutte le scelte che hanno un carattere economico vengono decise sulla base di quanto prevediamo possa avvenire in un futuro più o meno prossimo. E soprattutto per acquisti importanti, come la casa, l’orizzonte non può che estendersi alle prospettive di reddito e alle necessità di spesa di più anni.

E questo vale ancora di più per le scelte di carattere finanziario. I tanti o pochi risparmi che ognuno di noi può avere devono essere collocati sulla base di parametri strettamente personali come la propensione al rischio, la fiducia nell’andamento dell’economia, la stima sui possibili andamenti dei tassi di interesse.

Sapere prevedere quindi è importante, ma le previsioni economiche sono ancora più complicate e temerarie di quelle meteorologiche, previsioni queste ultime che sono affidabili solo se ci si limita a guardare semplicemente al tempo dell’indomani.

L’economia ha un elemento in più: il fattore umano. Quello che avverrà in futuro è difficilmente prevedibile perché in parte dipenderà dalle scelte molto spesso emotive, arbitrarie, anche illogiche di milioni di persone. E per un’altra cospicua parte dipenderà dalle scelte che sono spesso velleitarie e strumentali di una politica che in tutti i paesi, anche i più liberali, gioca una parte fondamentale nella dimensione economica.

E allora, tenendo conto di queste premesse, guardiamo al 2013 cercando di intravedere, nelle nebbie che ancora circondano l’economia mondiale, qualche indicazione di fondo su quello che ci potrà riservare l’anno appena iniziato.

La prima indicazione è che il 2012 è finito e non abbiamo assistito a nessuna rivoluzione. Le Cassandre di un anno fa sono state sonoramente smentite: la Grecia non è uscita dall’euro, la moneta unica europea è più solida di prima, Italia e Spagna hanno messo in atto severi piani di risanamento dei conti pubblici, la Banca Centrale Europea ha dimostrato di saper gestire anche gravi situazioni di difficoltà.

Sono stati quindi fatti dei passi avanti, ma l’Europa, e con essa l’Italia, non ha saputo dare una risposta al problema di fondo di questi anni: come riavviare la creazione di ricchezza e soprattutto di posti di lavoro. Una risposta che è mancata anche perché la soluzione è tutt’altro che facile. I posti di lavoro non si creano per decreto o grazie alle dichiarazioni di buona volontà, ma possono crescere solo se il sistema produttivo è competitivo, dinamico, innovativo, capace di fornire prodotti e servizi efficienti e concorrenziali. Pur con il rischio della retorica si potrebbe dire che l’Italia dovrebbe affrontare il problema ridando fiducia alle imprese e alle persone: il che vuol dire valorizzare il merito, dare spazio all’iniziativa, garantire regole certe e fatte osservare, mantenere le imposte entro i confini dell’equità. Un programma ambizioso che si scontra con la prassi degli ultimi decenni: le carriere costruite sulle relazioni politiche, la giustizia dai tempi lunghissimi, i pagamenti dello Stato con gravissimi ritardi, il peso del fisco che grava in maniera punitiva sul lavoro e sulle imprese.

Che cosa avverrà nel 2013? questo potrà essere finalmente l’anno della svolta? C’è qualcosa di più di una speranza. Per esempio i risultati del 2012 sono stati particolarmente buoni sul fronte delle esportazioni, con una prova altamente positiva dell’industria meccanica, dell’abbigliamento di lusso, della cosmetica. Se la politica farà la sua parte, affrontando la necessità di sciogliere con realismo il nodo dell’efficienza della pubblica amministrazione, allora si potranno vedere anche a breve termine risultati almeno parzialmente incoraggianti.

I rischi restano tuttavia ancora molti. Con in prima fila le elezioni di fine febbraio. Perché se si tornerà alla logica delle contrapposizioni e del populismo di destra o di sinistra allora anche i sofferti sacrifici degli ultimi mesi potranno essere in poco tempo vanificati.

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