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Editoriale

CATTOLICI E AGENDE POLITICHE

GIAMPAOLO COTTINI - 11/01/2013

Si avvicina il momento delle elezioni e comincia la caccia ai voti (anche dei cattolici), ma soprattutto si apre la questione su quali siano le effettive priorità su cui chiedere assicurazione e garanzie ai vari schieramenti, così da potersi orientare in scelte che appaiono ancora più difficili che in passato.

Si parla di “agende” delle cose urgenti da fare e cui nessuno potrà sottrarsi (chiunque vinca le elezioni), ed in questa prospettiva suona strano che anche in formazioni politiche in cui militano noti esponenti del mondo cattolico sia considerato titolo di merito l’esclusione dai programmi delle cosiddette “questioni eticamente sensibili”, considerate importanti ma non urgenti: il focus puntato sui problemi economici come assoluta priorità renderebbe – si dice – improvvido dividersi su questioni ideologiche o antropologiche e comporterebbe dispersione di energie che in questo momento il Paese non potrebbe permettersi. Così le diverse “agende” (ricordiamo che la parola significa “ciò che deve essere fatto”) escludono proprio quelle questioni che non si possono eludere se appena si concepisce la politica come arte di costruire buone relazioni in una vita sociale rispettosa di valori umani (si pensi, ad esempio, alla legislazione sul fine vita, alle questioni della procreazione assistita, ai problemi della famiglia e alle diverse forme di unioni di fatto, alla libertà di educazione e al problema della scuola libera, all’urgenza del lavoro, alle nuove povertà e alla necessità di riprendere forme solidaristiche, al sostegno di chi è più svantaggiato, alla diffusione sempre più pericolosa del gioco d’azzardo che diventa una pesante tassa sulla disperazione). Pensare che i problemi della politica italiana siano legati solo alla quadratura del bilancio o alla permanenza italiana nell’eurozona risulta perciò riduttivo e nasconde la verità che anche una diversa allocazione delle risorse presuppone una gerarchia di interessi e criteri non neutrali rispetto all’immagine di società che si intende realizzare.

Perciò non basta che tutti i partiti si affannino a ripulire il volto della politica proponendo candidati onesti e competenti (la rettitudine morale nel trattare la cosa pubblica e la competenza nel saperlo fare dovrebbero essere dei pre-requisiti impliciti che non andrebbero neppure enfatizzati in una situazione normale!), mentre il primo dovere elettorale dei cattolici è di far pesare come urgenti nelle diverse agende politiche dei partiti le questioni umane ed etiche che stanno loro più a cuore, non limitandosi a firmare deleghe in bianco solo sull’affidabilità personale dei candidati.

Ma c’è ancora spazio per una presenza politica dei cattolici, seppure distribuita in vari partiti e in varie formazioni, oppure bisogna rassegnarsi a che la politica governi solo i flussi di denaro dalle nostre tasche alle casse dello Stato con l’unica garanzia di una certa trasparenza? Ricordiamo che Benedetto XVI si rivolge con coraggio ai potenti della terra e a chi ha gravi responsabilità di governo e di indirizzo sul futuro dell’umanità, indicando qual è modello di uomo che deve ispirare le scelte politiche. Perché non pensare allora di “mettere in sicurezza” non solo la finanza del Paese ma anche i valori umani fondamentali che reggono una buona convivenza attraverso giuste leggi?

Credo che i cattolici debbano chiedere di potersi sentire rappresentati sulle questioni reali della vita che incidono sull’ethos del nostro popolo. Nella storia repubblicana non si è forse mai visto un momento così delicato della vita politica in cui la pluralità, ma forse bisognerebbe dire la confusione, delle posizioni rende difficile una scelta adeguata e soddisfacente, ma non si deve cedere alla trappola di rinunciare a ciò che sta a cuore con il pretesto che ci sono cose più urgenti: sarebbe come se in una famiglia si vivesse con tale apprensione il problema economico, da dimenticare il significato educativo del darsi delle regole anche di convivenza e rispetto reciproco.

Non è astratto allora chiedere attenzione ai cosiddetti “valori non negoziabili”, perché i sacrifici si possono fare se c’è una prospettiva di bene che li giustifica e se la politica torna a “volare alto”, soprattutto nella ricerca di equilibrate soluzioni legislative sulle questioni più delicate dove è in gioco il senso della giustizia dei rapporti. Purtroppo in passato, anche in presenza di maggioranze ben definite, non si è riusciti ad ottenere buoni risultati con leggi giuste, laicamente rispettose dei valori umani, per la resistenza ideologica o per altri interessi di parte: ma oggi non ci si può trincerare dietro l’affermazione che c’è qualcosa di più impellente o urgente, anche perché certe riforme o provvedimenti sono a costo zero e possono ricreare un clima umano più positivo, in cui il cittadino non senta lo Stato come nemico, ma piuttosto come aiuto a vivere un’appartenenza ad un popolo unito da un destino.

Sarebbe pericoloso porre la priorità solo su alleanze necessarie dal punto di vista tecnico, come sarebbe astratto porre solo una questione di valore senza cercare soluzioni condivise, ma ancor più grave sarebbe concepire la laicità dello Stato e del voto rappresentativo come rinuncia a ciò per cui siamo chiamati ad essere testimoni di bene nella società. Se il realismo impone di cercare convergenze necessarie a poter governare una situazione così gravemente frantumata, come cattolici (imparando anche da quanto detto dal Cardinale aprendo l’anno costantiniano) non dobbiamo rinunciare a focalizzare le vere questioni che ci stanno a cuore, certi che anche questo contribuisce al bene di tutti se riuscirà a vincolare, orientandola, l’azione politica di chi vincerà le elezioni.

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