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Opinioni

MACROREGIONE, DISEGNO ISTITUZIONALE PERICOLOSO

GIUSEPPE ADAMOLI - 18/01/2013

La macroregione del Nord rappresenta un disegno istituzionale pericoloso per l’Italia. Lo Statuto della Regione Lombardia, approvato nel 2008 anche dalla Lega, indica la sola strada possibile: quella di rendere effettive la collaborazione e l’integrazione fra le Regioni padano-alpine. Il che non significa affatto una sola grande Regione nordica. Tutt’altro. Vuol dire convergere su alcuni obiettivi comuni nel campo delle grandi infrastrutture, dell’ambiente, della politica industriale.

Oltre questi principi c’è solo una fuga in avanti mortale per l’unità della Repubblica.

Sarebbe come scappare di fronte alla necessità di una fortissima riorganizzazione dello Stato che riguarda sia il Nord sia il Sud. Questo è il punto vero. Mettere al centro il funzionamento reale e concreto dell’amministrazione a tutti i livelli. Non si può continuare con delle istituzioni centrali e periferiche che funzionano come quando le dinamiche sociali ed economiche erano molto più lente e stabili.

È indifferibile trasformare il nostro Paese in una vera “democrazia governante”.

Sarà decisivo chi governerà la Lombardia. Se le Regioni più grandi del Nord perseguissero tutte una strategia di contrapposizione a Roma costituirebbero un ostacolo insormontabile per la riforma complessiva del sistema istituzionale.

È l’intera struttura amministrativa che va cambiata e semplificata secondo una visione d’insieme ampiamente condivisa. Sono tantissime le strutture amministrative a livello periferico e centrale da sopprimere o cambiare radicalmente uscendo finalmente dalla retorica degli enti inutili che restano poi tali e quali.

Il caso delle Province è sintomatico. Un solo ente di rango costituzionale deve esistere fra il Comune e lo Stato e non può essere che la Regione. Non sono per nulla rammaricato per “l’incompiuta” del governo Monti sull’accorpamento delle Province. Le quali devono essere tutte trasformate in semplici enti di secondo livello gestiti dai sindaci senza più elezioni e apparati politici.

Le stesse Regioni vanno dimezzate, riorganizzate e sottoposte al “limite dell’interesse generale”, com’era sempre stato prima della riforma Costituzionale del 2001. I loro bilanci vanno resi confrontabili (oggi non lo sono ancora) come premessa indispensabile per fissare i costi standard di beni e servizi (acquisti, spese di ogni genere, TAC e risonanze, quantità di personale). Bisogna inoltre rendere più penetranti i controlli della Corte dei conti che sono tutt’altro che un ostacolo all’attuazione dello Stato delle Autonomie.

Sono tutte materie che appartengono alla politica di serie A, non di serie B.

Tutto questo non si fa senza la collaborazione leale fra grandi Regioni e Stato.

Impariamo dagli Usa dove l’insieme dei poteri pubblici è chiamato “Amministrazione”.

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