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Società

VOCAZIONE PREPOLITICA DISATTESA

LIVIO GHIRINGHELLI - 18/01/2013

Dopo la bufera e il rischio del baratro finanziario, dopo il ministero dei tecnici e le cure da cavallo imposte a un organismo in chiara sofferenza, l’Italia torna tra breve ad affrontare il problema della rappresentanza politica nel corso di una crisi tutt’altro che risolta. Giustamente Benedetto XVI ha affermato che mentre si combatte tuttora lo spread finanziario bisogna risolvere con ben migliori misure lo spread del benessere sociale. Nel nostro sistema il profitto è assolutizzato a scapito del lavoro, l’economia finanziaria si afferma a tutto scapito di quella reale, non si rispetta la dignità trascendente della persona umana. E il Papa invoca uno spirito di tenacia ed un impegno condiviso per uscire dal buio di questo tunnel.

Alla salvezza deve certo concorrere la restituzione al popolo del potere decisionale in merito a una rappresentanza politica veramente democratica, rifuggendo da populismi, miti ideologici, privilegi di casta, slogan estremizzati, sulla base fondamentale di un sano realismo e di una analisi scientificamente corretta della situazione. A differenza che in un passato non troppo lontano la Chiesa, dopo avere affermato con Pio XII (Radiomessaggio natalizio del 1944) la legittimità della democrazia coi suoi benefici, ha sancito con il Concilio Vaticano II che il regime democratico è il solo pienamente conforme alla visione cristiana dell’uomo e della società grazie al suffragio universale, alla capacità di garantire e tutelare i diritti della persona, alla salvaguardia dei diritti delle minoranze, alla possibilità che i partiti politici agiscano e si orientino in funzione del bene comune. Mentre si legittima pienamente il pluralismo politico dei cittadini, si veda di non imporre alcuna opzione particolare in nome della fede. Bene comune si definisce l’insieme di quelle condizioni della vita sociale, che permettano tanto ai gruppi, quanto ai singoli membri della società di raggiungere la propria perfezione.

L’atmosfera d’apertura della campagna elettorale non conforta la speranza, pur nella giusta dialettica delle varie posizioni e atteggiamenti, di un superamento del bipolarismo spesso rissoso e primitivo della storia recente, di un personalismo tutto risolto nel successo mediatico, mentre si deve tendere alla creazione di un’autentica uguaglianza d’opportunità, d’equità ed equilibrio finanziario tra le generazioni, della relazionalità quale elemento costitutivo dell’essere della persona, di una redistribuzione del reddito a favore dei meno abbienti (che ora vivono al limite della pura sussistenza), di un’economia che va fatta ripartire a favore dell’occupazione (il lavoro è diritto elementare). A tutto ciò ostano l’obesa malabestia burocratica, il clientelismo degli apparati, la corruzione diffusa, l’insediamento crescente delle mafie, la spudorata evasione fiscale. La selezione delle élites non avviene per lo più in base al merito, la spesa pubblica è incontenibile e di carattere spesso parassitario (vedi l’inefficienza estesa del settore pubblico). Penosa e disumana è la situazione delle carceri, permane lo ius sanguinis per gli immigrati, disastrosa è la difesa del territorio, le aliquote fiscali vanno rimodulate, ricapitalizzate le banche in funzione degli investimenti (non del loro esclusivo tornaconto) e si potrebbe continuare all’infinito coll’agenda del riscatto, anche in termini di politica industriale, di risoluzione del problema Nord-Sud, d’infrastrutture. Quali le priorità? Quali gli impegni temporali?

Purtroppo rimane, nonostante l’iniziativa di Monti (la salita in campo, come è definita nel suo stile) il nanismo elettorale del centro (sino a prova di smentite e di una affermazione della vocazione civica proclamata). Dove sono ad esempio nel programma il sostegno al lavoro di cura delle famiglie, la detassazione dei servizi alla persona ? Perché non si è mantenuta fede a quella vocazione prepolitica che doveva fecondare l’apporto dei cattolici alle varie elaborazioni di programma tra le parti in causa?

Il centrodestra soffre di populismi vari, demagogia, antieuropeismo e mancate promesse di defiscalizzazione e liberalizzazioni, diffuse contraddizioni interne, strumentalizzazione dei cosiddetti valori non negoziabili. Più che di moderazione si tratta di moderatismo e individualismo col persistere dei vecchi privilegi senza messa in discussione.

Il centrosinistra, spostato sempre più verso la sinistra (vedi le recenti primarie per la scelta delle candidature), nonostante alcuni recuperi di cattolici e di esterni in funzione di bilanciamento, soffre di varie contraddizioni: ricorso sempre maggiore alla tassazione alimentando una spesa pubblica tutta da rivedere, con sacche di inefficienza e spaventando chi è interessato ad investire in Italia (così i salari sono più bassi della media europea e il costo del lavoro per unità di prodotto è più alto da noi); c’è il pregiudizio che lo Stato sociale non debba in alcun modo essere riformato; in base al principio dell’Università gratuita c’è un travaso di 2,5 miliardi di euro da famiglie con reddito inferiore a 40.000 euro a famiglie con reddito superiore; il garantismo assicurato a tutti, docenti e non, impiegati assenteisti, dirigenti pubblici strapagati impedisce che ci si rifaccia al principio sacrosanto della meritocrazia, che non è valore di destra; permane l’ostilità verso qualunque misura che assicuri più flessibilità nel mondo del lavoro (tra l’altro bisogna proteggere il lavoratore, non il posto ad oltranza). Tutto questo allarma larghi settori dell’opinione pubblica.

Creatività, fantasia, combattività dei giovani sono le risorse più importanti.

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