Sono arrivate le vacanze. Come scriveva Don Giussani, «non un distacco da se stessi ma una occasione per andare ancora più’ a fondo di quello che si vive. Perché è lì, nel tempo libero che si capisce cosa uno vuole veramente».
Così tra le innumerevoli mete turistiche oggi a disposizione, permetto suggerire un viaggio recentemente compiuto con l’agenzia “Auryn” di Bergamo: il Romanico in Borgogna.
La regione francese nota per i suoi vini cattura con la forza della natura e l’impronta dei resti storici che punteggiano il paesaggio. Il pullman si inoltra per chilometri e chilometri di strade di campagna: piccoli ma ben tenuti paesetti si alternano a dolci colline dove sono coltivati con cura migliaia di vigneti. Tra le case coi tetti a coppi e mura di vecchia ocra cotta, pascola qualche cavallo.
Nel 1500 i confini della Borgogna comprendevano le Fiandre, i Paesi Bassi, la Francia Contea, l’Alsazia e parte della Lorena. La regione situata a cavallo di due grandi fiumi francesi, la Saona e la Loira, è stata fin da tempi antichi punto di incontro tra differenti civiltà: una sintesi fatta di storia, buon senso del vivere, gusto del mangiare e bere bene.
Proprio per la mitezza del clima, la scarsa densità abitativa, la bellezza della natura, gruppi di monaci a partire dall’anno mille diedero vita ad una impressionante fioritura di abbazie e annesse chiese: molte non hanno resistito alla furia anticlericale della Rivoluzione francese, altre sono invece ancora visitabili.
Il monastero più famoso è quello di Cluny, vero prototipo del cenobio medioevale. Oggi purtroppo dell’edificio rimane soltanto il braccio meridionale del transetto maggiore: un frammento imponente di 32 metri sovrastato da un possente campanile ottagonale che si leva per 62 metri e fiancheggiato da un più modesto campanile quadrato. Eppure per molti secoli Cluny fu un punto di riferimento per tutta l’Europa cristiana tanto da far scrivere a Papa Gregorio VII intorno al 1080 «ho visto il paradiso irrorato dai quattro fiumi del Vangelo». Nel suo periodo di massimo splendore si stima che nelle varie comunità che dipendevano da Cluny vivessero circa diecimila monaci.
Altra meta irrinunciabile a duecento chilometri di distanza da Cluny ma lungo la via del pellegrinaggio dalla Francia a Santiago di Compostela è la Basilica di Vezelay. Davanti ad una spianata spazzata dal vento dietro le pianure dell’Ile-de-France si erge, su quella che è definita “la collina eterna”, l’edificio che contiene le reliquie di Maria Maddalena. Sul portale di pietra rosa di Lacrost, illuminata dalla luce del tramonto dove nei secoli si sono piante tante lacrime di penitenza, siede in maestà il Cristo dalle cui mani escono i raggi della Pentecoste.
Qui a farla da padrone sono i capitelli: centodiciotto disseminati su altrettante colonne che costituivano per i pellegrini medioevali una vera e propria Bibbia illustrata che spazia dalla storia di Isacco a quella di San Giovanni Battista, da Adamo ed Eva alla parabola di Lazzaro e il ricco Epulone. Commovente il capitello sul suicidio di Giuda, citato da Papa Francesco nel 2016 in un incontro con i sacerdoti della Diocesi di Roma: nella parte a sinistra il volto straziato dell’apostolo che si impicca, a destra un Gesù Buon Pastore che se lo carica sulle spalle.
Manca lo spazio per soffermarsi sulle altre tappe del tour: Annecy, Tournus, Hautecombe, ma una costante salta all’occhio. Quando si contemplano queste grandi chiese romaniche nasce inevitabile una certa malinconia. La fede che le innalzò sembra oggi, il più delle volte, spenta. E le grandiose mura freddi sepolcri vuoti. Ma là dove piccole comunità cristiane decidono di tornare a vivere in quei luoghi, tutto rinasce. È il caso della Fraternità Monastica di Gerusalemme a Vezelay o del “Chemin Neuf” a Hautecombe dove si organizzano esercizi spirituali, accoglienza, animazione delle liturgia. Allora anche a distanza di secoli l’acqua torna a sgorgare e le pietre a cantare.
Buone vacanze!