
Se la scelta del nome significa qualcosa, è interessante rivedere brevemente il pontificato di Leone XIII (1878-1903), al secolo Gioacchino Pecci, romano di Carpineto nei dintorni di Anagni, uno dei papi più longevi della storia della Chiesa. Era nato il 2 marzo 1810 da una famiglia di antica nobiltà, aveva studiato dai gesuiti e all’accademia dei nobili ecclesiastici. Eletto al terzo scrutinio il 20 febbraio 1878, non si allontanò inizialmente dalla linea del predecessore Pio IX sulla “questione romana” (che firmando il non expedit aveva posto il veto ai cattolici di votare). Con l’enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891, indirizzò la Chiesa verso un rinnovato impegno sociale, deciso a rilanciare il dialogo con i fedeli di tutto il mondo.
Firmò quarantasei encicliche sulle più importanti questioni del tempo, lo sviluppo industriale e i problemi del lavoro, la condizione del proletariato, la conflittualità nei rapporti sociali tra i proprietari e la classe operaia e la natura della proprietà privata. Auspicava un ordine fondato sulla giustizia e la carità. Fece udire la voce della Chiesa sul giusto salario, sul diritto dei lavoratori di organizzarsi e il dovere dei padroni di tenerne conto pur dichiarandosi avversario del socialismo e della lotta di classe. Riaffermò il valore della famiglia come base della società. La sua parola divenne il programma d’azione dei cattolici, nella convinzione che il cristianesimo avesse i mezzi per sciogliere i nodi della questione sociale.
I contemporanei lo descrivono alto, magro, esile e dal pallore quasi diafano. Aveva consuetudini private semplici. Non fumava, si concedeva qualche goccio di vino durante i pasti, lavorava, mangiava e dormiva occupando due sole stanze dell’appartamento papale. Nei momenti liberi camminava nel parco e componeva poesie in latino nello stile di Orazio: “Parco ac tenui contentus ingluviem fuge” (lieto del cibo frugale, fuggo l’ingordigia). Novantenne esile e incanutito, fisicamente gracile da non sembrare in grado di sostenere i pesanti paludamenti dell’apertura della porta santa, nel 1900 riprese la tradizione giubilare dopo una lunga interruzione.
L’anno santo gli offriva la possibilità di riaffermare la cristianità di Roma in opposizione al governo laico che l’aveva “ridotta” a capitale del Regno d’Italia e papa Leone non se la fece sfuggire. Accolse il nuovo secolo aprendo le braccia ai fedeli: “Roma vi invita amorosamente, o diletti figli, quanti siete nel mondo, che avete modo di visitarla”. Nel 1881 aprì l’Archivio Segreto Vaticano agli studiosi di tutte le fedi e di tutti i Paesi limitatamente al materiale antecedente il 1815, convinto che “l’unico desiderio della Chiesa è la verità”. Il primo frutto dell’apertura fu la monumentale Storia dei Papi che lo studioso cattolico Ludwig Von Pastor pubblicò fra il 1886 e il 1933 in risposta a opere analoghe scritte dai protestanti Gregorovius e Leopold Von Ranke.
Papa Leone e lo storico austro-tedesco si frequentavano. «L’interessamento di Sua Santità per la storia è sorprendente», annotava Pastor sul proprio diario dopo un colloquio avuto con il pontefice l’11 febbraio 1879. Con Leone XIII si chiuse un’antica e discussa consuetudine riguardante il conclave. Il papa aveva perso la funzione di sovrano con la presa di Roma, ma le potenze cattoliche esercitavano ancora la propria influenza sulle nomine cardinalizie e godevano del diritto di veto al conclave. Tale diritto fu esercitato per l’ultima volta proprio alla morte di Leone XIII nel conclave del 1903 che elesse il successore. Colpì il segretario di Stato, il cardinale Rampolla del Tindaro. Il nuovo eletto Giuseppe Sarto prese il nome di Pio X (1903-1914) e fu lui a cancellare definitivamente il potere di veto.