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IL NOSTRO PONTEFICE

SERGIO REDAELLI - 09/05/2025

Papa Paolo VI al balcone della loggia della Basilica di San Pietro durante la prima benedizione Urbi Et Orbi

Sessantadue anni fa, il 21 giugno 1963, il conclave elesse papa al quarto scrutinio Giovanni Battista Montini (Concesio 1897 – Castel Gandolfo 1978), un pontefice amato e discusso, talvolta enigmatico e incompreso, come in fondo è stato papa Francesco che lo ha canonizzato il 14 ottobre 2018 in piazza San Pietro a quarant’anni dalla morte. Un’elezione drammatica già dalle premesse, scelto dai cardinali riuniti nella Cappella Sistina dopo la morte di Giovanni XXIII, il 3 giugno 1963, che provocò l’interruzione del rivoluzionario Concilio Vaticano II. Toccò a lui, Paolo VI, condurlo a termine assumendosi la responsabilità di rinnovare la Chiesa cattolica, di ricomporre l’unità dei cristiani e di promuovere il dialogo con il mondo contemporaneo.

Il Concilio si chiuse il 7 dicembre 1965 con i risultati che monsignor Pasquale Macchi, varesino, segretario di Montini arcivescovo a Milano e poi pontefice a Roma, spiega nella prefazione del libro Paolo VI Beato: “… non ha avuto paura di andare controcorrente rispetto alla mentalità dominante, lanciando messaggi “forti” a tutto il mondo per la difesa della vita e della dignità dell’uomo, contro l’ingiustizia sociale e per la pace nel mondo”. Macchi alludeva all’unità dei cristiani promossa dal Concilio Vaticano II, all’aggiornamento della Chiesa cattolica con la celebrazione della messa nella lingua nazionale e con l’esigenza di farsi pellegrina sulla terra, all’istituzione della giornata mondiale della pace, al dialogo con protestanti, ortodossi e anglicani, alla politica di disgelo con i Paesi comunisti, alla riforma del Sant’Uffizio e della Curia romana. Battaglie che ricordano quelle di Francesco.

Montini finì spesso nel mirino dei media, tirato per la stola, accusato di essere contraddittorio, amletico e indeciso. Messo sul banco degli imputati per il riformismo moderato, fermo sull’obbligo del celibato dei preti, contrario al controllo delle nascite con i mezzi anticoncezionali, incolpato di ingerenza nelle prerogative dello Stato italiano per avere appoggiato il referendum antidivorzista. Contestato come Francesco, che è stato tacciato di essere autoritario, di aprire troppo le braccia della Chiesa ai derelitti del mondo, di essere anticlericale e di sinistra. Entrambi invece attenti ai problemi del lavoro, alla difesa della vita e degli ultimi, allo slancio missionario, fieramente nemici della corsa agli armamenti che toglie risorse al Terzo Mondo affamato. Forse accomunati dal destino di incomprensione e di solitudine che accompagna i pontefici innovatori.

Montini era spesso in viaggio apostolico nel mondo, America, Brasile, Africa, Estremo Oriente, non diversamente dal papa argentino ansioso di portare solidarietà e attenzione alle periferie del globo. Entrambi protagonisti di un’epoca storica turbolenta. Prima di salire al soglio di Pietro, Montini è stato arcivescovo a Milano negli anni di piombo, in un’Italia insanguinata dagli omicidi politici e dal terrorismo rosso e nero. Nel 1978, dopo il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, supplicò le Brigate Rosse perché lo liberassero e provò a organizzare il pagamento di un riscatto attraverso il fidato segretario Macchi. Si addossò il peso di situazioni drammatiche come la contestazione alla Chiesa, le persecuzioni nel mondo sovietico e la guerra nel Vietnam. Condusse una politica di apertura verso i Paesi dell’Est e nel 1964 fu il primo papa a volare in Palestina, accolto trionfalmente a Gerusalemme.

Nel 1965 parlò di pace all’assemblea dell’Onu a New York (“Mai più la guerra”), lo stesso anno istituì il Sinodo dei vescovi e il Segretariato per i non credenti. Nel 1970 monsignor Macchi gli fece scudo con il proprio corpo, salvandogli la vita, da un finto sacerdote che lo aggredì con il coltello durante il viaggio pastorale a Manila, nelle Filippine. Altrettanto impegnativo è stato il compito di Francesco che ha guidato il popolo cattolico in un impietoso scenario internazionale che tollera l’aggressione russa all’Ucraina, che si volta dall’altra parte di fronte ai massacri di Gaza e agli altri focolai di guerra che incendiano il pianeta mentre, all’interno della Chiesa, ha denunciato gli scandali delle molestie sessuali e della finanza vaticana senza controllo.

Legato alla tradizione, il papa lombardo usava la sedia gestatoria e il plurale majestatis, ma rinunciò alla tiara per costituire un fondo per i Paesi poveri. In Colombia si espresse in difesa dei campesinos, nel 1964 andò tra i poveri dell’India e donò la papamobile a Teresa di Calcutta: come Francesco si batteva per gli ultimi. Al dito portava l’anello del Concilio Vaticano II e per questa ragione non fece fondere in oro il calco di cera creato per lui dall’artista bolognese Enrico Manfrini, lo “scultore dei papi”, raffigurante San Pietro con le chiavi vaticane. Quell’anello, fuso in meno nobile argento e affidato da Pasquale Macchi a monsignor Ettore Malnati, è poi finito al dito di papa Francesco attraverso il cardinale Giovanni Battista Re.

Montini, come dimenticarlo, è stato un pellegrino devoto alla Madonna del Monte sopra Varese sia in privato che in veste ufficiale. Nominato arcivescovo di Milano da Pio XII il primo novembre 1954 alla morte di Ildefonso Schuster, ebbe sempre nel cuore il santuario prealpino e vi salì tredici volte in pellegrinaggio, di cui sei a piedi. Si faceva accompagnare all’alba alla Prima Cappella al termine degli esercizi spirituali e raggiungeva il santuario recitando il rosario, poi celebrava la messa. Sulla montagna di Ambrogio e Carlo Borromeo dedicata al culto della Madonna nera, parlò ai lavoratori delle Acli in varie occasioni affrontando i temi della fede, del lavoro e della giustizia sociale.

Speciale è il rapporto che ebbe con Villa Cagnola. Il 2 giugno 1960 inaugurò l’Istituto Superiore di Studi religiosi di Gazzada dove, nel 1977, fu istituita la Fondazione Ambrosiana Paolo VI. Il nuovo ente, dopo alcune riunioni preliminari per delinearne i temi e le prospettive di studio, avviò ufficialmente l’attività con un convegno sull’Europa cristiana. Un argomento, l’Europa, assai caro a Paolo VI, che nel 1958 pronunciò le profetiche parole: “Il giorno che una cultura comune fonderà i diversi popoli che compongono questa Europa ancora così mal compaginata, una unità spirituale sarà fatta. Abbiamo bisogno che un’anima unica componga l’Europa”. Francesco definiva Paolo VI il “sapiente timoniere” del Concilio e il 6 agosto 2018, per i quarant’anni dalla morte, scese a pregare sulla tomba nelle Grotte Vaticane. E come lui ha voluto essere sepolto nella nuda terra.