
Si corre. Chi in bici, chi in monopattino noleggiato, chi a piedi. Giù per via Baldo degli Ubaldi e poi Cipro, via della Giuliana, piazza Risorgimento. Qui si incontra l’avamposto degli oltre 4000 agenti schierati per l’occasione della nomina papale e che incanala lungo via Vitelleschi per raggiungere via della Conciliazione dal fondo. Elicotteri volteggiano incessanti.
Suonano le campane della Basilica. Riprendono i tocchi che già da una decina di minuti dopo le 18 hanno iniziato a distendersi sui quartieri di Valle Aurelia, Sant’Ambrogio, San Giuseppe al Trionfale, Santa Maria delle Grazie, San Gioacchino in Prati. Così come in tutta Roma che per antica consuetudine saluta il nuovo Pontefice ed il suo Vescovo.
Il popolo accorre. Dalle strade secondarie via via sino a piazza San Pietro. Sembrano tanti piccoli rivoli di un fiume che sfocia in affluenti più grandi a confluire nel grande lago pensato da Michelangelo. Sono fedeli, pellegrini, turisti, curiosi, bambini e sportivi: 150mila secondo le stime vaticane. Bandiere e rosari, canti e litanie, cori e preghiere.
Vicolo degli Alicorni è l’approdo del mio rivolo. Una stradetta tra Santo Spirito in Sassia ed il colonnato Bernini. Tra un negozio di souvenir chiuso ed un ingresso privato praticamente murato dalla calca dei presenti, divido un esile muretto di mattoni con un cameraman di una tv di Dallas. Dal suo sigaro fuoriescono ampie spirali di fumo bianco forse ispirate alla buona notizia.
Intanto si attende. Ogni minuto la folla si ingrossa. Gli spazi conquistati a fatica via via diminuiscono: “E’ come il principio dello stato gassoso” si affretta a spiegare un professore ai suoi (immagino) studenti in gita. “Le particelle tendono a occupare tutto lo spazio a loro disposizione”. Rinfrancati dalla spiegazione scientifica diciamo a un gruppo di pellegrini che “no”, non si può percorrere il vicolo in senso inverso anche se “rischiamo di perdere il treno”.
Qualcuno si arrabbia contro turisti canadesi che innalzano grandi bandiere che oscurano i maxi schermi. Un gruppo di ciclisti capitato lì per caso viene ricacciato indietro senza troppi complimenti. Alcuni pregano. Giovani battono le mani prima lentamente poi via via più forte come fossero ad un concerto. Ma qui i tempi dell’apparizione li decide lo Spirito Santo.
E in quello che passerà alla storia come il Conclave dagli orari stravolti (dalle due ore di ritardo sulla prima fumata nera a quella bianca un’ora prima del termine canonico delle 19) anche ora si aspetta con un po’ di impazienza che il 267esimo successore di Pietro si affacci alla Loggia della Basilica. Ci sono le bande schierate: quando suona l’inno di Mameli molti tra i presenti in piazza si associano al canto.
In ogni gruppo WhatsApp di cui fai parte c’è qualcuno che posta la foto del fumo bianco dal comignolo. All’inizio dici “ma anche no, grazie” poi ti rendi conto che questo nostro mondo patisce la mancanza di figure autorevoli e che in un modo o nell’altro ognuno ha bisogno di postare: ci sono. Le divisioni sono così profonde e i conflitti talmente numerosi che mendichiamo la voce del Cristo in terra. E così quando migliaia di cellulari inquadrano la figura di un emozionato Leone XIV (ci aspetterà una nuova “Rerum Novarum”?) pensi che tutto questo sia come un grande gesto di domanda verso un significato per la vita e che quella “pace sia con voi” con cui Francis Prévost saluta le decine di migliaia di presenti è l’augurio più profondo che ogni cuore desidera.
Il cameraman di Dallas spegne finalmente il suo sigaro e smonta la telecamera . “American is great!” mi saluta sorridendo. E così sia: ma secondo me la partita è solo agli inizi.