Politica

REFERENDUM, LA CHIAMATA

GIUSEPPE ADAMOLI - 09/05/2025

Domenica 8 e lunedì 9 giugno si voterà sui 5 referendum abrogativi in materia di lavoro e di cittadinanza e per avere risultati validi occorre che si raggiunga il quorum del 50 per cento più uno degli elettori.

Non sarà facile ottenere questo esito stando alla nostra recente storia referendaria. Per questo andrò certamente a votare. Per rendere produttivo un importante strumento di partecipazione politica. E lo faccio anche se il mio voto sarà favorevole soltanto al referendum che riduce da dieci a cinque anni la durata della residenza regolare in Italia per ottenere la cittadinanza e poterla trasmettere anche ai figli minorenni.

Mi sembra una norma di civiltà che favorisce l’inclusione di molti immigrati di cui c’è bisogno anche per ragioni strettamente economiche oltre che per una questione di accoglienza sociale più volte richiamata da Papa Francesco. Secondo calcoli molto accreditati sarebbero circa 2,5 milioni le persone che acquisterebbero così la cittadinanza. Non mi spaventa il numero ragguardevole, anzi mi induce ancora di più al voto favorevole.

Voterò, pensando al quorum ma non a favore, per gli altri quattro quesiti referendari di cui due riguardano il Jobs Act introdotto dal governo Renzi alla fine del 2014. Il rischio che siano invalidati a causa dell’informazione molto insufficiente è l’allarme condivisibile di Maurizio Landini ed è importante raccoglierlo.

E’ proprio sui due quesiti del Jobs Act che si accentra la polemica soprattutto a causa delle asserite conseguenze negative dell’eliminazione del famoso art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Ebbene il mio voto è negativo non perché a suo tempo avevo approvato questa legge. Sarebbe, questa, una forma di coerenza che diventerebbe stupida e colpevole cocciutaggine se avessi cambiato idea e non lo dichiarassi.

La ragione è un’altra: mi pare sbagliato addossare la responsabilità della precarietà lavorativa a quella legge. Non per niente, dopo il 2014 abbiamo avuto due governi Conte, un governo Draghi e ora il governo Meloni e nessuno di loro è intervenuto. Profonda la contraddizione di quest’ultimo governo la cui maggioranza politica, in particolare i partiti di Meloni e di Salvini, si erano dichiarati nettamente contro il Jobs Act ma non ha fatto nulla per modificarlo ed ora invitano all’astensione.

Non voto a favore nei quattro referendum in materia di lavoro e non faccio distinzioni fra loro per evitare complicazioni che favoriscano la non partecipazione. Penso semplicemente che si sbagli bersaglio e che si stia alzando un fumo ideologico che nasconde i problemi veri del nostro futuro.

C’è bisogno invece di una grande battaglia per ridurre il lavoro povero; per contenere il costo della vita che divora le entrate delle famiglie; per aumentare i salari troppo bassi; per impedire che il servizio sanitario nazionale penda lentamente ma inesorabilmente verso la sanità privata.

Mi auguro che la discussione sui referendum, al di là dei suoi esiti elettorali, serva a produrre una nuova sensibilità su questi temi tale da creare le condizioni per un cambiamento sostanziale delle politiche governative.