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UNANIMITÀ SESSUALE

MARGHERITA GIROMINI - 09/05/2025

Una novità importante è in arrivo per la scuola: uno schema di disegno di legge approvato il 30 aprile che prevede, tra le altre disposizioni, l’introduzione dell’educazione sessuale in tutti gli ordini scolastici.

La conquista però arriva con il freno a mano tirato. Il testo della proposta, infatti, include limitazioni che ne ridimensionano l’efficacia nei piani formativi, rischiando di ridurre questa apertura a un’occasione solo formale.

Ci si aspettava un salto di qualità dopo anni di dibattiti accesi, nelle aule parlamentari come in quelle scolastiche.  Sarebbe stato necessario colmare il ritardo storico in altro modo 66 anni dopo la Svezia, in un’Europa che quasi ovunque ha reso l’educazione sessuale una materia obbligatoria, strutturata e permanente.

Si attendeva la predisposizione di uno spazio educativo attento ai temi dell’affettività, delle relazioni tra i sessi, del valore dei sentimenti e del rispetto reciproco e non, come emerge dal testo per la scuola primaria, una proposta che riduce l’educazione sessuale a un elenco di nozioni biologiche.

Inoltre è stata individuata una strada controversa per l’introduzione della nuova materia: qualsiasi percorso di educazione sessuale potrà essere attivato solo con il consenso preventivo di tutti i genitori della classe. Non uno di meno. Un solo dissenso e tutto si blocca.

Diverse associazioni di genitori hanno accolto con favore la proposta del ministro Valditara, ma non sono mancate forti critiche dal mondo politico, sindacale e scolastico.

A sollevare perplessità è soprattutto il vincolo del consenso unanime, che rischia di sminuire l’autonomia delle istituzioni scolastiche e limitare la libertà d’insegnamento dei docenti, due principi fondamentali del nostro sistema educativo.

Queste le conseguenze: la prima è che le attività legate all’educazione sessuale, non essendo inserite nei programmi ufficiali, saranno considerate facoltative o addirittura extracurriculari. In altre parole, vi potranno accedere solo gli studenti il cui nucleo familiare avrà dato esplicita autorizzazione.

Un accesso selettivo, che mina il valore inclusivo dell’educazione e crea una disparità di fatto tra studenti “ammessi” e “esclusi”.

In seconda istanza la facoltatività rende arduo costruire un percorso didattico interdisciplinare che i docenti possono garantire quando lavorano con l’intero gruppo classe.

Ci troviamo davanti a un’educazione sessuale riservata solo a chi ha il consenso dei genitori che finisce per essere un’iniziativa frammentata e avulsa dai curricula, esterna e quasi “tollerata”.

L’obbligo del consenso parentale suona anacronistico. Perché la scuola può essere il luogo dove ricevere strumenti per comprendere, orientarsi, proteggersi in una società dove i contenuti legati alla sessualità, spesso distorti, sono già ampiamente accessibili, soprattutto in rete.

La misura individuata da Valditara trasmette un messaggio ambiguo, come se questi contenuti fossero potenzialmente pericolosi, divisivi, discutibili.

In definitiva, penso che l’educazione sessuale non sia solo una materia da insegnare, ma una chiave per aprire porte alla comprensione, al rispetto reciproco e alla libertà di essere sé stessi, sia dentro sia dalla scuola.