
C’erano una volta nel calcio, limitiamoci al nostro, quello varesino, i presidenti. Non stiamo parlando dei mecenati, per intenderci i Borghi – in un certo senso anche i Filiberti e gli Orrigoni – ma di altri, quelli, per essere precisi che infinita passione e contributo economico apprezzabile ma in stretta proporzione alle relative possibilità facevano parte di un consiglio fatto di altri dalle caratteristiche tali e quali che il presidente avevano nominato. Uomini e consigli di relativa potenza economica ma di fantastica e debordante passione.
Insomma, per citare un esempio, tra i più significativi nella storia del calcio biancorosso c’era il consiglio dei Marini, Pastorino, Caronni, Vaccarella e qualche altro. Ognuno a rivestire un grado nella propria attività di dirigente, professionisti, commercianti o quant’altro chi più chi meno con disponibilità economiche. Erano consigli “artigianali” tenuti a galla dalla passione e da bilanci sempre controllati e pronti a restare nelle possibilità delle società.
Poi, dopo il periodo del mecenatismo, si arrivò a situazioni inizialmente di una difficile comprensione che a mano a mano si rivelavano tramite interventi (di autorità giudiziarie, finanzieri e quant’altro) e come variante qualche pirotecnica presenza anche un po’ ridicola. A salire in cattedra, illustri sconosciuti sostanzialmente venditori di fumo magari mascheratisi sotto nomi noti nella piazza, anche facoltosamente apprezzabili.
Ovvio che a un certo punto la passione finisse relegatissima in un angolo per lasciare il posto a un interesse, tra l’altro abbastanza di difficile realizzazione, per il “dollaro”.
Si sono andate, e si vanno, così creando situazioni traballanti con abbandono di cariche consiliari motivate in qualche maniera.
Questa è la situazione societaria del calcio di casa nostra con tanti rimpianti senza scomodare quel periodo magnifico dei mecenati ma anche solo pensando agli altri anni di quell’ “artigianato dirigenziale”.