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BEAU GESTE

ROBERTO CECCHI - 10/10/2025

Lo scorso maggio il tribunale di Roma ha stabilito che l’astuccio di pelle di 39x32x20 centimetri, contente un cospicuo numero di gioelli e conservato in Banca d’Italia è di proprietà dello Stato italiano e non dei Savoia (Corsera 5.10.25). La sentenza chiude, almeno per il momento, una vicenda iniziata il 5 giugno del 1946, quando l’avvocato Falcone Lucifero, in qualità di Reggente della Real Casa, su ordine di re Umberto II, si presentò in Banca d’Italia. A riceverlo c’era Giulio Einaudi, allora Governatore e futuro presidente della Repubblica, per prendere in consegna le cosiddette “gioie di dotazione della Corona del Regno d’Italia”, con la precisazione che fossero tenute “a disposizione di chi di diritto”. Un’indicazione molto chiara e ineccepibile da parte del re.

Stando a quel che c’è scritto nel volume Gioielli di Casa Savoia, di Maria Gabriella di Savoia e Stefano Papi, l’astuccio conteneva tra l’altro “La famosa collana a dieci fili con 684 perle, appartenuta alla regina Margherita, la consorte di Umberto I. Il marito gliene fece dono nell’arco di quattro anni. Poi il diadema Musy con 541 diamanti del peso di 1167 grani, pari a 2092 carati, 11 perle a goccia e 64 perle circolari. Quindi un altro diadema di diamanti disegnato a tralcio di foglie di lauro centrato da una margherita, regalato da Vittorio Emanuele Il a sua nuora Margherita. Il gioiello forse più spettacolare è una doppia catena di diamanti intrecciata nel nodo Savoia, il simbolo più antico dell’ex Casa reale: il numero complessivo dei brillanti sarebbe 1859. Altri fili di perle appartenuti a Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele II. Quindi collane, bracciali, spille, orecchini che risalgono all’epoca di Carlo Felice e Carlo Alberto. Infine il diamante rosa appartenuto al maresciallo Marmont, duca di Ragusa, aiutante di Napoleone: una magnifica pietra circondata da altri brillanti” (Electa 2002).

Il verbale di deposito dei gioielli fu chiuso alle ore 15,30 di quel lontano 1946. Era passato pochissimo tempo dalla conclusione dello scrutinio del referendum Monarchia-Repubblica, che chiudeva di fatto la stagione di una monarchia antichissima, i Savoia, nata tra X e XI secolo e metteva fine anche ad una parte particolarmente infelice della storia d’Italia. Quei beni dovevano essere immediatamente restituiti alla fruizione dei legittimi proprietari, gli Italiani. E invece, da quel momento spariranno dalla circolazione e ormai da ottant’anni si trovano in un caveau, perché a dispetto delle parole del re, la famiglia istaurò un contenzioso con lo stato italiano e diventerà impossibile rivedere questi pezzi di storia. Quei gioelli, dirà Maria Gabriella di Savoia, sono «Un autentico pezzo della storia d’Italia. Quei gioielli sono la testimonianza di un gusto dell’epoca o del prestigio che aveva, attraverso i simboli della Corona, il nostro Paese. Ringrazio il Governatore Draghi e sarei ben contenta se si riuscisse quanto prima a esporli così come avviene a Londra o a Monaco, con i gioielli del Wittelsbach».

Dovetti occuparmene anch’io, nel 2009, da direttore generale del Ministero della Cultura, perché la questione era stata riportata alle cronache e si ventilava la possibilità di esporre quegli oggetti preziosi in pubblico, a Torino. Apparve chiaro, guardando le carte dell’Archivio di Stato di Roma, che quei beni appartenevano al pubblico demanio. “I gioielli della Corona” facevano parte della dotazione della Corona (detta anche Demanio della Corona), quale complesso di beni assegnati al Capo dello Stato per l’adempimento delle sue funzioni. Nessun dubbio, dunque, che si distinguessero nettamente dal patrimonio privato del Re e dei suoi familiari (Presid. Cons. Ministri). Ma fu l’ennesima bolla di sapone. Non se ne fece di nulla. Il timore di una querelle sconsigliò la parte politica ad andare oltre. Oggi, inevitabilmente, la questione è tornato alla ribalta, come tutte le cose lasciate a bagnomaria. Sarebbe bello che la vicenda si chiudesse qui. Sarebbe un sollievo se i reali rinunciassero ad un ulteriore appello. Sarebbe salutare vedere un beau geste, dopo tante vicende sconclusionate e incresciose. Ci permetterebbe di guardare a questa casata con un po’ più di simpatia. E forse, potremmo anche fare il tifo per l’inaugurazione di una mostra dedicata ai «Gioelli della Corona». Chissà!