Finire il lavoro è una frase che, riferita all’annientamento di un popolo, è la più terribile che abbia sentito sino ad ora.
“Finire il lavoro”, rimbalza nella mia mente come déjà-vu: tante volte l’ho sentito dire nei film che raccontano la Shoa, nei documentari sul nazismo, quando Hitler con i suoi più stretti collaboratori decideva senza emozioni che la persecuzione degli ebrei andava portata “a buon fine”.
L’espressione definisce un lavoro sporco che si può svolgere senza ripensamenti per chiudere in fretta una questione spinosa come la “necessità” di eliminare una comunità da un Paese, in Europa o nel mondo.
Le parole non sono mai scatole vuote: dentro c’è il nostro pensiero, quello che siamo e ciò che vorremmo essere.
Fa rabbrividire sentirla pronunciare con inconsapevole leggerezza da Trump e da Netanyahu.
Ecco Trump affermare che se non verranno accettate le sue condizioni si dovrà consentire che Israele finisca il lavoro.
Netanyahu, dal canto suo, non si pone problemi morali a realizzare con vivo impegno l’invito di Trump.
L’espressione che solo poco tempo fa era una frase di uso comune, ora, riutilizzata nel mezzo di un disastro epocale, punta a minimizzare la portata disastrosa della guerra spinta alle estreme conseguenze, alleggerendone di riflesso il carico di violenza e di sofferenza che produce.
Mi spaventa il pensiero che si debba concludere in fretta una guerra senza considerare che si sta parlando della vita e del destino di persone sulla cui testa stanno per scatenarsi le azioni più distruttive della preannunciata fase finale.
Mi indigna che ciò avvenga davanti al mondo intero, e che si accolga senza troppe reazioni la determinazione di questi due governi a finire “il” lavoro.
Come se si trattasse di una sequenza da rispettare per portare a termine un incarico segnato in agenda accanto a cui apporre con sollievo la spunta per il lavoro compiuto. Con il resto, vittime militari e civili ridotti a dettagli o a effetti collaterali.
Le tre parole pronunciate Netanyahu sono inequivocabili: stanno a significare che non ci sarà pace se non a guerra conclusa secondo le intenzioni più volte dichiarate.
Le medesime tre parole in bocca a Trump suonano invece irritate: questa situazione, che porta disagi e problemi agli USA, deve concludersi presto. Altrimenti gli toccherà ritardare l’avvio degli altri progetti.
Non siamo pochi oggi a sapere dove conduce la frase “finire il lavoro”: rapidità d’azione, violenza senza limiti, bombardamenti quotidiani, determinazione nel raggiungimento degli obiettivi militari.
Per tutto questo vorrei che si tornasse presto ad usare la frase incriminata -finire il lavoro- solo per esprimere la banalità quotidiana: si finirà di giocare, di cenare, di pulire casa, di tagliare l’erba del prato, di concludere un compito, di leggere un libro.
Ndr – Questo articolo è stato scritto prima della notizia sull’accordo Trump-Netanyahu-Hamas per Gaza, di cui non sono ancora noti tutti i venti punti annunciati