Cultura

IL ROMANO POGLIAGHI

SERGIO REDAELLI - 10/10/2025

I Commilitoni di Spartaco crocifissi lungo la via Appia. L.Pogliaghi. Veneranda Biblioteca Ambrosiana

Ci sono scene di guerra: ecco i commilitoni di Spartaco crocifissi lungo la Via Appia su ordine di Marco Licinio Crasso per reprimere la rivolta degli schiavi e dei gladiatori nel 71 a.C., la calata di Annibale dalle Alpi con ventimila uomini e gli elefanti nel 218 a.C. e il sogno di Bruto nel 42 a.C., prima della battaglia dei Filippi, quando gli appare il fantasma del demonio; oppure episodi storici come la grandiosa cerimonia dei funerali di Giulio Cesare e altre curiosità: l’inaugurazione del Colosseo nell’80 d.C. con cento giorni di combattimenti, battaglie navali e cacce agli animali; il console Marco Antonio fruga nelle carte di Cesare per legittimarsi come esecutore della volontà del defunto; e Cesare a Cadice davanti alla statua di Alessandro il Grande.

Sono le sette tavole in monocromo a tempera e olio su supporto rigido, dedicate all’antica Roma, che Lodovico Pogliaghi disegnò insieme ad altre centinaia per il primo dei cinque volumi della “Storia d’Italia” di Francesco Bertolini e che sono in mostra alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano fino al 28 ottobre. Le illustrazioni, presentate all’Esposizione Nazionale di Torino nel 1884, documentano la straordinaria capacità narrativa dell’artista che morì a S. Maria del Monte il 30 giugno 1950. Con rigore storico e coinvolgente linguaggio visivo, Pogliaghi ricostruisce le vicende dell’antica Roma dalle origini alla caduta dell’Impero alternando la rappresentazione di eventi storici a momenti più intimi che indagano la psicologia dei protagonisti.

Lodovico Pogliaghi (1857-1950) fu un eccezionale disegnatore e collaborò dal 1886 con l’Illustrazione Italiana diretta da Emilio Treves. Invitato al fronte dal Comando Supremo durante la Grande Guerra, documentò la vita in trincea con una serie di schizzi e bozzetti dal vero e, per conto della Fiat, disegnò le tavole pubblicitarie dei carri trattori e delle mitragliatrici prodotte dalla casa torinese. Fu in realtà un artista eclettico dalle mille risorse. Scultore, pittore, scenografo, collezionista, orafo, medaglista e curioso viaggiatore, si stabilì in cima al Sacro Monte sopra Varese sul finire dell’Ottocento, trasformando un vecchio casolare immerso tra le vigne in una villa un po’ kitch, ricca di capolavori raccolti viaggiando e di opere di propria mano.

Creativo, geniale e disordinato, non aveva l’abitudine di documentare l’origine degli acquisti e questo difetto crea oggi più di un grattacapo a chi li studia. Prima di trasferirsi a Varese abitava a palazzo Crivelli in via Pontaccio a Milano e frequentava gli antiquari di via Solferino. Negli anni trenta acquistava oggetti con Corrado Ricci alle aste Borghese a Roma per conto del Castello Sforzesco e dopo aver concluso buoni affari per il committente, pensava alla propria collezione privata e mercanteggiava sui prezzi. Spesso comprava a rate. Si riforniva da Chiodetti a Cremona per libri e legature, da Leone Esquenazi per i tappeti, da piccoli mercanti di anticaglie per pezzi di scavo e ceramiche.

“La profonda competenza antiquaria di Pogliaghi – spiegano all’Ambrosiana – gioca un ruolo cruciale nella riuscita del progetto della mostra: durante i suoi viaggi a Roma e Pompei l’artista studiò da vicino monumenti e reperti, si affidò a incisioni, fotografie, statue, rilievi e bronzi moderni che riproducono fedelmente l’antico”. L’amico Luigi Medici, avvocato e poeta dialettale che gli fece visita nell’eremo varesino il 24 giugno 1950, una settimana prima che Pogliaghi morisse, lo descrive nel libro “Incontri di anime”: “I milanesi lo chiamavano El Pogliaghin perché vedevano in quell’omino dal passetto rapido di passerino eccitato, alto un soldo di cacio e tutto nervi, tutta volontà, tutto spirito di entusiasmo ambrosiano, un simbolo dell’arte lombarda”.

Abitualmente distratto, un giorno fu rimproverato per avere scritto una lettera datandola 1500 anziché 1800 ed egli rispose imperturbabile in dialetto: “Hoo minga sbagliàa a scriv, hoo sbagliàa a nass”. Era così. Irrequieto e con gusti da principe rinascimentale, facile alla battuta vernacolare. Amico di Verdi e dei fratelli Arrigo e Camillo Boito, lasciò i segni della propria creatività in giro per l’Italia. Lavorò alla tomba di Ludovico Antonio Muratori a Modena, alla Cappella Cybo di Genova, alla basilica di Sant’Antonio a Padova e, forse, nella reggia dello Scià di Persia a Teheran, di cui realizzò il modello della stanza da letto conservato a S. Maria del Monte. Suoi il monumento di Oropa a Quintino Sella e il gruppo della Concordia per l’Altare della Patria a Roma.

Era anche un accanito collezionista di autografi e tra le tante firme che raccolse – di Verdi, Canova, Pacelli, Schuster, Manzoni e D’Annunzio – non poteva mancare quella di Achille Ratti, papa Pio XI, di cui era amico e a cui lasciò la villa al Sacro Monte, con delega all’Ambrosiana, per farne un museo. Gli orari di visita alla mostra: tutti i giorni, tranne il mercoledì, dalle 10 alle 18. (Ph. Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori portfolio).