Editoriale

SAPORE DI SALIS

MASSIMO LODI - 13/06/2025

Silvia Salis

Unità forse impossibile. È il dubbio che rode la sinistra dopo il referendum, trentanovesimo flop nella storia nazionale. Vano l’appello agli elettori, vana la ricerca d’armonia (Schlein più determinata sulla cittadinanza agl’immigrati, Conte più distaccato), vani gli approcci per annettersi i centristi (sul lavoro, posizioni distanti). Nello specifico del Pd, rumoreggia la capriola della segretaria, affiancatasi a Landini -che non si dimette come dovrebbe- nel voler affossare la riforma fatta da Renzi quand’era capo dei Dem e del governo.

La gente non capisce. E difatti si nega alle urne. Se vota, fatica a comprendere le astruserie formali degli argomenti. Potrebbe essere d’accordo, in diversi casi, sulla sostanza. Ma spiegandogliela così, ciao/ciaone. Detto questo -e aggiunto che incitare all’astensione è stato riprovevole, specialmente da parte di cariche istituzionali- il risultato è che, in un momento di difficoltà, la destra incassa il risultato che voleva. La sinistra, questa sinistra, non rappresenta l’alternativa credibile. Urge rimediare.

Come? Non s’accende (ennesima volta) l’empatia fra coalizione di partiti e sentimento popolare. Né Schlein né Conte possiedono il carisma del leader federatore. L’una non riconosce l’altro e viceversa. Ed è il peggio possibile. In più, dentro il Pd, soffia aria di fronda: i riformisti obiettano alla linea ordinata dal vertice. Perciò carte da rimescolare, gioco ancora tutto da stabilire, e ovviamente con quale definitiva squadra. Ripescare, per esempio, Renzi e Calenda -e comunque l’area moderata, con o senza di loro- appare indispensabile se si vuol costruire uno straccio d’intesa accettabile. Ma sul punto Pd e Cinquestelle divergono. Fino a quando?

Ha buon gioco la Meloni a farsi scudo di simili contraddizioni e dire che non è lei a voler imporre un esecutivo sordo al dialogo con le fasce più deboli, indifferente ai diritti, equilibrista fra America ed Europa. Sono gli altri, i suoi oppositori, a manifestarsi incapaci nell’offrire un’opzione differente, motivata e plausibile, che smuova le masse.

E questo è vero. Manca la scintilla che riaccenda l’entusiasmo elettorale dell’anti-destra. Resta il senso d’impotenza lasciato da una minoranza che ritrova compattezza solo in occasioni amministrative locali, ma non ce la fa, non ce la fa proprio, ad accendere il lampo dell’impegno comune in un’avventura di rinnovo parlamentare giudicata vincente. Manca, nella sostanza, il leader/la leader che sappia trascinare. Al proposito: un pensierino in vista del ’27, elezioni politiche, alla sindaca di Genova Silvia Salis (solida preparazione politica, ottima comunicatrice, in sintonia con la gente) sembra il caso di farlo. Darebbe sapore, la Salis, a questa minestra ormai sciapa.