In un mondo costellato di focolai di guerra con spese sempre più onerose per armarsi, l’ultima polemica si scatena beffardamente sull’otto per mille alla Chiesa cattolica. Fatemi capire, si arrabbia un lettore del quotidiano la Repubblica: la percentuale del gettito Irpef che milioni di italiani devolvono ogni anno ai vescovi serve per aiutare i poveri o per pagare gli stipendi al clero? La pubblicità – aggiunge – induce a pensare che tutta la somma sia destinata alla carità mentre in realtà, dai documenti ufficiali della Cei che si occupa di suddividere i fondi, il 36,4% va alla voce “esigenze di culto della popolazione”, il 37,3% al sostentamento del clero e soltanto il 26,3% agli interventi caritativi. Il lettore conclude domandandosi se il messaggio pubblicitario dell’otto per mille alla Chiesa sia, se non fuorviante, per lo meno poco trasparente.
L’attacco segue la dura presa di posizione dell’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, contro la decisione del governo Meloni – presa nel 2023 – di estendere la scelta per l’attribuzione dell’otto per mille di pertinenza dello Stato a una sesta opzione – il sostegno alle comunità di recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche – aggiungendola alle cinque già esistenti (fame nel mondo, calamità naturali, edilizia scolastica, assistenza ai rifugiati, beni culturali). In questo modo l’esecutivo ha allargato il ventaglio delle possibili scelte del contribuente italiano a danno della Chiesa. “Siamo delusi dalla modifica unilaterale decisa dal governo – dice Zuppi – Non ci interessano i soldi, vogliamo solo aiutare i poveri, promuovere l’educazione e occuparci delle tante emergenze che affliggono l’Italia e il mondo”.
“La scelta governativa – aggiunge il porporato – va contro la realtà pattizia dell’accordo stesso, ne sfalsa oggettivamente la logica e il funzionamento, creando una disparità che danneggia sia la Chiesa cattolica che le altre confessioni religiose firmatarie delle intese con lo Stato italiano”. Il presidente della Conferenza episcopale si riferisce all’Accordo di Villa Madama del 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica italiana con il quale l’allora premier Bettino Craxi e il segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli (con il contributo del monsignore varesino Attilio Nicora) crearono un sistema aperto alle altre religioni trasformando nell’8 per mille lo stipendio (la congrua) che lo Stato italiano pagava ai parroci in base al Concordato del 1929.
Su questa legge intervenne per la prima volta il governo Conte2 introducendo la scelta tra le cinque destinazioni per la parte riguardante lo Stato e come si è detto, nel 2023, il governo Meloni l’ha estesa alle problematiche delle tossicodipendenze. La protesta del cardinale Zuppi è subito diventata terreno di scontro politico. Matteo Renzi, il segretario di Italia Viva, difende le ragioni dei vescovi: “Togliere alla Chiesa quello che le spetta in virtù del Concordato e farlo perché magari non si condivide la posizione della Cei sulle politiche migratorie è l’ennesimo colpo di testa del duo Meloni-Mantovano. È l’ennesima dimostrazione di un modo di concepire le istituzioni arrogante e sordo al confronto”. Ma il governo tira diritto.
Al di là delle ragioni dell’una e dell’altra parte, bisogna considerare che negli ultimi anni lo Stato italiano ha intensificato la campagna d’informazione per attirare le scelte dell’otto per mille negli ambiti di sua competenza e ciò ha contribuito da un lato a determinare la crescita della quota riservata allo Stato, dall’altro a provocare il calo del gettito Irpef versato alla Chiesa cattolica. Secondo il quotidiano torinese La Stampa, in cinque anni la comunità ecclesiastica ha perso oltre 220 milioni di euro. Dal 90% dei primi anni duemila, le sottoscrizioni dei contribuenti italiani a favore del clero si sono infatti ridotte nel 2019 all’80% e coi soldi che saranno ripartiti nel 2025 scenderanno al 67,28%.
Nonostante il calo del gettito, l’istituzione religiosa fa comunque la parte del leone nella ripartizione dei fondi. Nel 2024, su un miliardo e 328 milioni di gettito dell’otto per mille, poco meno del settanta per cento (68,59) è andato alla Chiesa cattolica (990,95 milioni), il 25,62% allo Stato (340,3 milioni), il 3% alla Chiesa evangelica valdese (40,36 milioni) e il 2,8% alle altre confessioni. Sempre secondo La Stampa, in media soltanto il 40% dei contribuenti indica esplicitamente una destinazione (Stato, Cei, valdesi, comunità ebraica, avventisti, ortodossi, buddisti ecc.), mentre sei cittadini su dieci non lo fanno. L’otto per mille di chi non indica il destinatario viene ripartito tra i soggetti beneficiari in proporzione delle scelte espresse e alla Chiesa cattolica va la percentuale maggiore.