Opinioni

FUMATE GRIGIE

GIANFRANCO FABI - 16/05/2025

Due elementi hanno caratterizzato, nel bene e nel male, il modo con cui sono stati seguiti dal mondo della comunicazione la morte di papa Francesco e l’elezione di Leone XIV. Nel bene perché mai come questa volta il Vaticano e le vicende della Chiesa sono state al centro dell’attenzione con seimila giornalisti provenienti da tutto il mondo. Nel male perché in molti casi nel racconto dei fatti hanno fatto irruzione i pregiudizi, la volontà di cercare i lati negativi, le analisi affrettate e malevole, i sospetti ingiustificati.

È difficile e forse inutile mettere sui piatti della bilancia le due prospettive. L’ondata di partecipazione commossa che ha accompagnato la lunga degenza al Gemelli e l’improvvisa scomparsa di Papa Francesco è stata sicuramente un esempio di profonda simpatia verso il pontefice argentino, un segno di apprezzamento per la sua generosa attività. E anche nel momento dei bilanci sono prevalsi i toni positivi pur nella problematicità di una Chiesa che deve continuamente prendere le misure di un mondo in rapido cambiamento.

Tra i titoli dei quotidiani che hanno annunciato la morte di Papa Francesco sono prevalse, giustamente, le sottolineature di un pontificato rivolto agli ultimi, ai poveri, agli emarginati. Forse il titolo più originale è stato quello del quotidiano francese Liberation “Perdimus papam” parafrasando la frase “Habemus papam” con cui si annuncia l’elezione del nuovo pontefice. Non solo un gioco di parole. È un cambio di prospettiva. Non guardiamo e giudichiamo dall’esterno un avvenimento, ma siamo noi i protagonisti di quell’avvenimento. Siamo noi il soggetto: “abbiamo perso il papa”. E questa è in fondo una lezione di giornalismo: la capacità di collocare gli avvenimenti nella prospettiva di un lettore che non è solo un osservatore, ma viene sollecitato ad essere parte in causa.

Al contrario i giorni del conclave hanno dato spazio a un giornalismo in cui è spesso apparsa la ricerca di patti segreti, di intrighi sotterranei, di giochi di potere. C’è chi ha parlato di “giallo” per il ritardo con cui è apparsa la prima fumata nera. C’è chi il giorno in cui si è aperto il conclave ha parlato di “ultimi veleni”. C’è chi ha dato la notizia della scelta del nome del nuovo papa parlando di “Fossa dei leoni”.

Che dire poi della girandola di previsioni prima e di resoconti poi sulla base delle proprie idee più che sulla realtà delle cose, come ha dimostrato la nomina del cardinale Prevost, una nomina che ha sorpreso gli addetti ai lavori mediatici (e peraltro ventilata RMFonline, che aveva indicato il cardinale americano come primo degli eligendi dopo il poker di favoriti Parolini-Pizzaballa-Zuppi-Tagle). Ecco le ricostruzioni delle votazioni, ricostruzioni palesemente inventate dato il solenne giuramento di segretezza pronunciato dai cardinali. C’è chi ha parlato di voto di scambio, di nomine promesse in cambio di voti, di lobby nazionali.

E alla fine, con il senno di poi, ecco a spiegare perché quella di scegliere chi è diventato Leone XIV è stata in fondo la scelta più giusta: come età (69 anni), come esperienza missionaria, come conoscenza della realtà della Chiesa, come indirettamente designato da Papa Bergoglio che lo aveva da due anni portato a Roma a capo del Dicastero dei Vescovi.

Per molti aspetti, fortunatamente una minoranza, la mobilitazione di giornali e giornalisti è stata un’occasione perduta. Che papa Leone XIV li perdoni.