Pensare il Futuro

IL TYCOON E LA CINA

MARIO AGOSTINELLI - 17/10/2025

Ciò che è insolito nel momento attuale è quanto visibilmente lo stile di governo di un singolo leader abbia piegato contemporaneamente tre aspetti della politica estera: narrazione, istituzioni e potere. Dal 20 gennaio 2025, il presidente Donald Trump ha raddoppiato gli sforzi per concludere accordi a breve termine e per diffidare degli organismi multilaterali, ritirando finanziamenti o avviando prelievi dalle agenzie delle Nazioni Unite e dall’OMS, imponendo dazi “reciproci” e inasprendo i controlli sulle esportazioni. L’effetto cumulativo è stato quello di prosciugare il capitale simbolico degli Stati Uniti come prevedibile custode delle regole globali. In questo vuoto, invece, la Cina ha continuato a promuovere un’alternativa in rete: non una nuova piramide con Pechino al vertice, ma una rete di forum, scambi, corridoi e standard che cercano la risoluzione dei problemi su una base non di arbitrio, ma di legittimità multilaterale.

Il messaggio di Trump, sia agli alleati che ai rivali, sta nell’utilizzare dazi e controlli come strumenti politici di ultima istanza. Perciò il Presidente americano si è mosso per uscire o tagliare i finanziamenti agli organi delle Nazioni Unite (dall’OMS all’UNESCO) e per rivedere la partecipazione degli States a un’ampia gamma di organizzazioni internazionali. Ma mentre l’impatto immediato sul bilancio è limitato; l’effetto sulla reputazione è ampio. I partner finiscono con l’adottare misure di protezione più aggressive, progettando nuovi canali per finanziamenti e risoluzioni delle controversie che non presuppongono la leadership o la partecipazione degli Stati Uniti.

Pechino, invece, ha continuato a costruire un’architettura policentrica che si proietta su tempi lunghi coinvolgendo in modo affidabile gli stati eurasiatici per un coordinamento pratico in materia di sicurezza e connettività, con un assetto cooperativo. Quando i Brics, su iniziativa cinese, sono diventati undici membri, aggiungendo Egitto, Etiopia, Indonesia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti,è nato un potere di convocazione per il lavoro su energia, pagamenti e standard che trova riscontro in tutto il Sud del mondo superando le vecchie frontiere dei vari G7, G8 etc.

Così la moneta cinese è diventata una delle principali valute di pagamento globali, intaccando il primato del dollaro.

La Belt and Road Initiative (BRI) si è ridimensionata ma infittita: la Colombia, ad esempio, ha firmato un piano di cooperazione per la BRI e si sono registrati nuovi protocolli d’intesa e accordi aziendali in Africa e America latina.

C’è da chiedersi: perché nell’era occidentale di Trump molti stati hanno aderito al multilateralismo pragmatico di Pechino? Innanzitutto, la continuità di linea politica di Xi Jinping contrasta con le svolte delle amministrazioni statunitensi. In secondo luogo, una cooperazione non sui dazi più o meno evanescenti, ma su strade, reti e fibra ottica risulta concreta e non soggetta a capricci. In terzo luogo, le alternative ai canali del dollaro e all’esposizione alle sanzioni, accresce il potere contrattuale del partner che sigla gli accordi, dato che Pechino offre contratti e investimenti che combinano finanza, logistica e, sempre più di frequente, soluzioni energetiche rinnovabili e decentrate sul territorio senza una pretesa interferenza politica.

Trump forse non si rende conto che la politica del suo governo e quella della Cina stanno spostando l’interesse del globo ben al di fuori dei vecchi confini dell’Occidente: non si tratta del collasso degli Stati Uniti, ma dell’erosione del suo monopolio. L’ordine emergente è policentrico e basato su questioni specifiche: sicurezza, economia attraverso scambi non esosi, accordi bilaterali su tecnologia energia e digitale, cultura che riscopre anche i caratteri locali. Per le potenze medie, questo aumenta il margine di manovra, se investono nella capacità istituzionale di gestire un ventaglio di legami più complesso.

I dazi di Trump come prima risorsa e i ripetuti ritiri dagli organismi globali spingono i partner a proteggersi, mentre la strategia di Xi Jinping prevede di gestire le preoccupazioni in materia di sicurezza e accettare una comproprietà nelle istituzioni emergenti.

Insomma: Trump chiude le porte; la Cina apre le finestre. Se gli Stati Uniti continuano a preferire le transazioni alle istituzioni e se il mondo non precipita nella guerra, il futuro si giocherà tra l’Oriente e il Sud del mondo.