Attualità

PENSA AGLI ALTRI

LUISA NEGRI - 17/10/2025

Cosa si racconterà negli anni di quanto successo a Gaza a partire da quel 7 ottobre 2023?

Cosa resterà nella memoria -oltre all’incubo agghiacciante della strage messa in atto dai miliziani di Hamas- dell’inferno di cadaveri, di case sventrate con rabbia e feroce determinazione, di quel formicaio di vecchi, donne e bambini superstiti tra i morti? Di quegl’infelici minori smarriti, mutilati, uccisi, lasciati morire di stenti dall’atroce reazione di Israele ?

Non riusciamo a credere che tutto questo ci sia passato accanto in un crescendo drammatico.

Consumato mentre noi vivevamo in un altro angolo del mondo. E intanto ci dicevamo di essere fortunati, al riparo dallo sfacelo, e non sapevamo cosa dire o fare per fermare quella guerra che neppure guerra poteva dirsi, ma pura persecuzione.

Perché niente obbediva a un minimo tentativo di razionalità, e niente faceva sperare che l’odio potesse cedere il passo, se non al buonsenso, alla pìetas verso un popolo vittima d’una duplice prepotenza: di chi mira a occupare sempre nuovi spazi e di chi non conosce altro mezzo di dialogo che la lotta armata. Un’immagine certo resterà impressa in tutti. Quella di un bambino in lacrime che- reggendo sulle spalle la sorellina- corre e urla a perdifiato, perché non trova più i genitori. E teme di averli persi per sempre.

“The war is over”.

Parola di Trump. Non la dimenticheremo.

È il 13 ottobre 2025. A Sharm el-Sheikh. Un giorno storico hanno scritto i giornali. E il Presidente USA in Egitto propone, con orgoglio, quella frase che magari si sarebbe potuta pronunciare molto prima. Ma cosa si racconterà negli anni anche di queste parole, di questo momento, se vero momento di pace o solo pausa?

Lo scriverà la Storia, ancora la Storia. Lo scriverà sulle macerie di Gaza. Tra le ceneri e i ruderi affioranti, dove erano piccole abitazioni e palazzi, e dove si posano, quel 13 ottobre, gli occhi e il cuore di chi ritorna.

Non sarà più come prima. Lo sanno soprattutto quanti hanno perso i propri cari, sepolto i figli, i fratelli, o gli anziani genitori. Eppure si ritorna. Eppure, forse, si ricomincia. Le donne hanno voglia di rimboccarsi le maniche. C’è luce nei loro occhi incorniciati dal velo. Perché non è morta la speranza di ritrovare un guizzo di vita sotto la cenere. O sotto le tende. Anche iI bambino in lacrime ha da tempo ritrovato i suoi genitori.

Lo sappiamo e ne gioiamo, lo ha raccontato al mondo intero il fotoreporter che lo ha inseguito: e immortalato di nuovo. Che ha impresso, in quel breve filmato, un altro scampolo di Storia. Fissata anche qui dagli occhi. Di chi sa vedere e raccontare. Lo si può fare con la telecamera, lo si può fare con una poesia, come la seguente di Mahmoud Darwish (Al-Birwa 13 marzo 1941 – Houston 9 agosto 2008) scrittore, poeta, e giornalista palestinese, espulso bambino nel ’48 dalla sua terra, morto in esilio in America.

Pensa agli altri

Mentre prepari la tua colazione, pensa

agli altri,

non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,

non dimenticare coloro che chiedono la pace

Mentre paghi la bolletta dell’acqua,

pensa agli altri,

coloro che mungono le nuvole.

Mentre stai per tornare a casa tua,

 pensa agli altri,

non dimenticare i popoli delle tende

Mentre dormi contando i pianeti,

 pensa agli altri,

coloro che non trovano un posto dove dormire

Mentre liberi te stesso con le metafore,

 pensa agli altri,

coloro che hanno perso il diritto di esprimersi

Mentre pensi agli altri, quelli lontani,

pensa a te stesso,

e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio