Ogni volta andare a trovare un anziano nella casa dove trascorre gli ultimi anni della sua vita, è come entrare in un luogo dove il tempo si è fermato.
Di solito la persona, se non è allettata, ti riceve in sala, la stanza nobile raramente utilizzata. Fotografie di parenti, soprammobili d’argento, ninnoli di ogni genere affollano i pianali dei mobili d’epoca in legno scuro. Poltrone di panno pesante in mezzo alla camera invocano una energica spolverata. Nelle biblioteche di mogano ai lati sono in bella vista le collezioni della Treccani e di Selezione dal Reader’s Digest. Vecchi long playing d’opera attendono da anni di essere suonati. Una pendola scandisce inesorabile l’incedere dei secondi.
L’occasione per queste visite è la mia funzione di Ministro per l’Eucarestia grazie a cui porto il sacramento ogni due-tre settimane nelle abitazioni di alcuni anziani del quartiere che il parroco mi indica.
A Roma tra le tante abitudini impossibili da scalzare, c’è anche quella per cui il genitore, soprattutto se in vita ha goduto di una certa agiatezza economica, debba finire i suoi giorni nella casa d’origine. Anche se malato. Anche se vorrebbe compagnia. Anche se i figli lo vanno a trovare, se va bene, due giorni alla settimana. Qui la residenza per anziani viene considerata solo in casi estremi.
Il risultato è una profonda solitudine di questa moltitudine di uomini e donne di fatto abbandonati nelle loro grandi case, un tempo pensate per accogliere intere famiglie che, ahimè, hanno preso il volo. Ogni volta rimango stupito dall’enormità di questi signorili appartamenti a volte anche con giardini di difficile manutenzione, ora abitati solo per un paio di stanze.
Mi introduco così in punta di piedi dentro un’ altra dimensione fatta di giaculatorie ripetute migliaia di volte al giorno, di ore scandite dai rosari, dalle coroncine della misericordia ascoltate alla radio e dalle celebrazioni eucaristiche trasmesse in tv.
A volte, raramente, gli anziani vivono in coppia. Lui gagliardo, lei devota: insieme da una vita. Quando uno dei due raggiunge la dimora del Padre non è raro che dopo pochi mesi anche l’altro o l’altra lo raggiunga.
Il tempo degli anziani è naturalmente il tempo del ricordo: Anna che ha superato quota 95 mi accoglie con la bombola d’ossigeno. Ogni volta mi racconta gli stessi episodi di una vita travagliata segnata dalla guerra ma anche dalla tiepidezza di figli e nipoti. Lucia che vive senza badante nonostante un ictus un anno fa l’abbia portata in fin di vita si fa sempre trovare davanti ad un piccolo altarino addobbato: c’è’ la statua della Madonna di Pompei, un cero acceso, il Bambinello. È il suo modo di dare il benvenuto a Gesù.
Aristide è stato uno dei primi macellai a lavorare in un mercato rionale della capitale. Ad ogni visita non manca il racconto di quando Vittorio De Sica raggiungeva il suo banco per scegliere i migliori tagli di carne. Gaetano è stato un istruttore di tennis. Si può solo immaginare la sofferenza ora che vive quasi immobile su una poltrona. Guarda in continuazione alla televisione partite vecchie e nuove e bisogna stare attenti a non sbagliare il nome del tennista in azione. Cecilia è stata una apprezzata insegnante di storia dell’arte. Ora la SLA l’ha costretta su una carrozzina ma mi spiega a memoria questa o quella Chiesa di Roma.
Le case che visito, portando il Cristo, sono il palcoscenico di una quotidiana offerta, silenziosa e misteriosa, che sostiene il mondo ma che per la mentalità contemporanea non conta nulla. Sono i famosi “scarti” di cui tante volte ha parlato Papa Francesco. Vite che si consumano lentamente portando con sè un immenso bagaglio di ricordi, sciolti nell’oblio di una quotidiana indifferenza.
Solo Dio le vede e le abbraccia.