
È un avvincente giallo irrisolto, un documento del ‘500 misteriosamente sparito dall’archivio della canonica di Santa Maria del Monte, un problema per gli storici che lo hanno cercato ovunque senza risultato. Si tratta di un quadernetto con ventiquattro fogli di pergamena racchiusi in una robusta copertina con tracce di operazioni aritmetiche e le pagine interne ingiallite e logore. Il manoscritto, vergato in latino fra il 1545 e il 1570 e ritrovato dall’arciprete Angelo Del Frate che lo citò in un volume dedicato al santuario nel 1919, contiene l’elenco dei gruppi di devoti che salivano ogni anno al monte. “Le ragioni per cui fu compilato sono evidenti – spiega lo storico Leopoldo Giampaolo nell’articolo Pellegrinaggi votivi al Sacro Monte di Varese, pubblicato nella “Rivista della Società Storica Varesina” nel 1971 – L’amministrazione del santuario ci teneva ad avere l’elenco delle comunità che avevano fatto voto di salire lassù per controllare quanto esse erano tenute ad offrire e a ricevere, senza dover ricorrere ai registri del santuario”.
Insomma una contabilità necessaria. Già Domenico Bigiogero aveva rivelato alla fine del ‘600 che nel santuario vi erano persone “applicate alla custodia della sacristia, alla regola dei libri, delle messe, dei voti e delle limosine”. Giampaolo, che afferma di essere entrato in possesso della fonte da Pietro Massari, direttore dei Musei Civici, ricostruì nel secolo scorso lo scenario generale. I pellegrini portavano alla Madonna i prodotti della terra, cera e denaro. Gli abitanti delle località montane donavano formaggi, chi proveniva coi carri dalle zone lacuali scaricava olio d’oliva, chi dall’area collinare comasca o dalla Brianza cera, torce e candele. Più pragmatici, i fedeli di pianura consegnavano somme di denaro da tre a cinquanta soldi, scudi o lire imperiali. Alcuni villaggi, per l’offerta, si tassavano un tanto a famiglia (o foco) oppure un tanto per anima o abitante e persino un tanto per ogni bovino posseduto.
Leopoldo Giampaolo, laureato a Torino in filosofia e pedagogia, è lo studioso che nel 1945 contribuì a ricostruire la Società Storica Varesina dopo la caduta del fascismo assumendone la direzione, un pioniere della ricerca storica locale e un efficiente funzionario pubblico, direttore per vent’anni della Biblioteca Civica di Varese, dal 1951 al 1971. Il mistero – un autentico, incomprensibile mistero – è che il prezioso manoscritto cinquecentesco è scomparso. Non si trova più: “È un fatto inspiegabile – ammette Alfredo Lucioni, docente all’Università Cattolica di Milano e studioso di storia medievale – Nell’articolo di Giampaolo del 1971 è riprodotta anche la foto della prima pagina del manoscritto. Dov’è finito?”.
Senza trascriverlo integralmente, Giampaolo ricavò dal quadernetto un’indagine che pubblicò in quindici puntate sul settimanale “Luce” nel 1948 (lo storico Gianni Pozzi lo ha ricordato proprio quest’anno sulla “Rivista della Società storica varesina”). Piero Mondini, studioso delle fonti dell’archivio del Comune di Varese, ha fatto ricerche dappertutto senza trovarlo e il documento non è neppure riportato nell’inventario dell’archivio di S. Maria del Monte realizzato da Eugenio Cazzani del 1972. Che fine abbia fatto in quasi un quarto di secolo, cioè da quando Giampaolo lo consultò nel 1948 fino alla data dell’inventario, è difficile a dirsi: potrebbe averlo preso chiunque, potrebbe essere ovunque.
Nell’attesa di risolvere l’arcano, Alfredo Lucioni ha tenuto una interessante conferenza a Velate sui pellegrinaggi medievali diretti al santuario varesino. A partire da quell’Ambrogio di Burago Molgora, nel Comasco, che nel 1026 fa rogare dal notaio tre testamenti prima di partire per Gerusalemme. C’è il rischio di non tornare e Ambrogio si premunisce, ma gode di una buona stella. Nel 1028 lo ritroviamo a Velate mentre dona terreni e altri beni a S. Maria del Monte, probabilmente dopo una visita al santuario. La piccola chiesa in cima alla montagna è già celebre. Lo testimoniano i graffiti che gli antichi visitatori lasciano sui muri di quella che oggi è la cripta.
Frequenti pellegrinaggi compiono i membri delle famiglie Visconti e Sforza che si avvicendano nella signoria di Milano. Ingannato dal nipote Gian Galeazzo, il feroce Bernabò Visconti cade vittima di un tranello sulla via del monte, è fatto prigioniero, condotto nel castello di Trezzo d’Adda e tolto di mezzo con un piatto di fagioli avvelenati. Il racconto di Lucioni corre tra citazioni dotte, gli ex-voto descritti dal Macaneo, la guerra tra Milano e l’imperatore Federico Barbarossa, la missione amministrativa affidata e svolta dall’arciprete Pietro da Bussero su mandato dell’arcivescovo Galdino di Milano, le preghiere contro le pestilenze intonate dalle “salmatrici” del lago Maggiore, gli scanni sul sagrato che vendono vino, pane e cera.
E poi i dettagli dell’ospitalità sul monte, i doni, i cibi, i trasporti, le opere nella chiesa, i riti, gli abitanti, le tradizioni, il passaggio obbligatorio delle carovane dal borgo di Velate. Duecento pellegrinaggi all’anno fin dall’alto Medioevo. L’uso è continuato nei secoli successivi ma Velate ha via via perso importanza, non è più il punto di passaggio da quando all’inizio del ‘600 è stata costruita la nuova strada del Sacro Monte. Forse, si domandano gli storici, Velate è più antica di Varese e risale ai tempi delle prime castellanze, però mancano le cosiddette pezze d’appoggio, la conferma documentale. Almeno per ora. In futuro tutto ciò che è perso si potrebbe ritrovare.