Editoriale

ADDIO A FRANCESCO, UNO DI NOI

MASSIMO LODI - 21/04/2025

Era venuto da lontano, se ne va -ore 7.35 del 21 aprile- dopo esserci stato vicinissimo. L’affaccio alla finestra di piazza San Pietro, la buona Pasqua ai fedeli, il giro in auto tra la folla. Sorrisi, carezza a un bimbetto, benedizioni. S’atteggia come se non ci dovesse lasciare mai. Invece ci lascia. Ci ha lasciati. Di notte, d’improvviso, di sasso. Malato, stanco, debilitato da morbi vari e cure ripetute. Però Ille semper grazie a fede, tenacia, bonomia, speranza. Francesco uno di noi, si direbbe facilmente/banalmente. Eppure è così. È stato un Papa così. Il vicino di casa, di confidenza, di patimenti, di gioie e tristezze, dolori intensi e sereni sguardi.

La storia racconterà d’un periodo importante segnato nella Chiesa. Lasciamo alla storia il suo compito. Le cronache della contemporaneità rivelano lo spirito d’un uomo attento agli uomini. Tutti gli uomini, grandi e piccolissimi. In qual senso, ci siamo capiti. Ce lo fece capire lui da subito. La residenza a casa Santa Marta, l’utilitaria per circolare, gli occhiali da due soldi comprati di persona in una botteguccia fuori le sacre mura. Eccetera. Gesti semplici/evocativi. Perché tale ha voluto essere, il carissimo Bergoglio: semplice/evocativo.

Già il nome pontificale, scelto a sorpresa, spiegava tutto. Roba da ultimo tra gli ultimi. E difatti. Sostenitore del riformismo innervato dalla tradizione, spesso in controtendenza rispetto al mainstream vaticano-curiale, infastidito dal bretellume dell’ufficialità, deviazionista riguardo ai comportamenti usuali. E via a ‘sto modo, in un’eccentrica interpretazione del ruolo. Del Ruolo, attenzione. Lettera maiuscola. Ovvero: mai una virgola fuori posto, che macchiasse il discorrere ufficiale/antico/rigoroso del Gran magistero. Ma quante licenze inopinate, di meravigliosa bizzarria, d’umanità dirompente.

Francesco uno di noi. Così in sintonia col sentimento popolare, così solare negli strappi ai paludamenti delle gerarchie apostoliche, così sincero/fanciullesco nello sbaglio a pro d’un istintivo impulso verso il bene. È stato un papà oltre che un Papa. Papà: quello che tutti abbiamo avuto, pur se non tutti abbiamo conosciuto. E tuttavia ne avvertiamo l’esistenza, lo sfiorarci la spalla quand’essa è piegata, il prestarci ascolto se nessuno ci dà retta, il coccolarci nelle malinconiche solitudini.

Ecco, lui (Lui Francesco) è stato questo. L’uomo dalla parola, dal gesto, dall’ammiccamento giusti/puntuali nel momento in cui ne avvertivamo il bisogno. Un compagno di strada più che, absit iniuria verbis, una guida. Non perché fosse incapace d’esser guida, ma perché l’essere compagno di strada prevaleva nel cammino della quotidianità. Durante il quale abbiamo spesso necessità di consolazione, e di sostegno, e di sollievo. Tanta roba, talvolta introvabile. Questo Papa ce l’ha fatta trovare, rivalorizzando il magico impulso -né cattolico né laico- chiamato emozione. Una corda difficilissima da scoprire/allertare in ciascun uomo e donna, adulto e piccino, d’una parte e dell’altra e dell’altra ancora del mondo, e che solo il tocco gratuito-misterioso della bontà sa accendere, dando musica alla vita.

Francesco uno di noi ha riempito di note lievi, orecchiabili, misericordiose lo spartito che ogni giorno il caso propone all’orchestra planetaria. Ci ha cantato e ce le ha cantate, su la testa e capo chino: che contraddittorio, melodioso, divino mix. Gliene siamo grati, e questo poco/tanto basta non a rimpiangerne l’umile maestosità, che rimarrà nel disegno pastorale tramandato al futuro. Ma basta a felicitarci d’averla conosciuta, ottenendo in regalo la pìetas che di solito lasciamo lassù in uno scaffale, assieme a libri raramente aperti. Bergoglio ce l’ha fatta scoperchiare. Lasciando scivolare sul mondo una polverosa lacrima di ringraziamento.