Avevano entrambi 17 anni, morti a distanza di due giorni l’una dall’altro. Lei, Anna, annegata e martoriata dall’elica del catamarano da cui era scivolata finendo nelle acque di Venezia, darsena di sant’Elena, il 19 maggio. Forse reggendo la cima del cavo che le era sta affidata, forse…chissà? Ognuno fornirà la sua versione: l’agenzia, se agenzia c’era, che l’avrebbe chiamata a fare non sappiamo ancora bene cosa, l’hostess oppure l’interprete – parlava bene sia la lingua ucraina sia il russo- o altro, ma si dice anche (verifiche in corso) che per ora non ci fosse con lei alcun contratto.
Il padre di Anna, informato il giorno prima da un amico che lei stava dandosi da fare per racimolare qualche soldo in vista del suo compleanno, ha puntualizzato subito la necessità di far chiarezza.
Ecco, appunto, fare chiarezza. Ma non c’è mai niente di chiaro in queste storie di minori che cercano lavoro, che lavoro non è. Costretti magari anche dalla necessità di non voler pesare sui genitori, o in ragione d’un precoce, frettoloso orgoglio, o in ragione d’altro.
Dell’altro ragazzo, un coetaneo di Salerno maciullato da una macchina sul posto di lavoro, lo scorso 17 maggio, non conosciamo neppure il nome. Sappiamo solo che era figlio di emigrati, che s’apprestava a svolgere un lavoro non proprio privo di rischi, e che anche lui probabilmente non vedeva l’ora di portare a casa qualche soldo.
Citiamo questi due casi, essendo accaduti così vicini nel tempo e causa la coincidenza d’età delle vittime. Ma è infinita la lista dei minori che si danno da fare per lavorare, pagando con la vita la loro aspirazione. E non parliamo dei poveri sfruttati nel Sud del mondo o nelle miniere o nei paesi in guerra; e in quelli dove manca il pane, perché non c’è o perché glielo si toglie. Come succede a Gaza, dove si lasciano morire di sfinimento creature innocenti.
Parliamo di questi che pure sono sotto I nostri occhi, tutti i giorni. Non pochi, anche precocemente, sono stati espulsi dalla scuola, soprattutto laddove ci sarebbe invece bisogno di sostenerli e tenerli stretti. Perché disturbati da disagi familiari di povertà, di migrazione, di sfruttamento. Forse meno verifiche scritte a scuola e più domande a voce -anche sulle reali necessità e desideri quotidiani di ciascuno- sarebbero già un grande aiuto a non lasciarli smarrire. A dargli più sicurezza e una migliore conoscenza del mondo.
Non perdiamoli di vista, non umiliamoli facendoli sentire meno diligenti o dotati dei compagni di banco. Non affliggiamoli anzitempo chiedendogli di assumersi responsabilità incompatibili con l’età anagrafica. Sono a volte impegni che li portano dritti nelle mani avide degli sfruttatori, che spesso giocano sulle apparenze, infischiandosene di leggi e diritti, facendo intravedere una lama di felicità laddove si nasconde solo il gelo di una trappola mortale.
Ma tocca a tutti noi vegliare.