Secondo il governo doveva essere, questa, la legislatura delle grandi riforme di istituzionali e di governo cementata dal patto a tre fra le forze della maggioranza: la Giustizia per Tajani, l’autonomia regionale differenziata per Salvini, il premierato ad elezione diretta per Meloni. Vediamo come stanno i vari iter legislativi.
Giustizia. È la meno identificabile con un solo partito di maggioranza ed è anche quella dove le mie perplessità sono minori.
Che la divisione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici porti alla sottomissione dei primi al governo in carica può essere un rischio ma non è certo una conseguenza quasi meccanica come le opposizioni temono.
Confesso che su questo tema sono probabilmente influenzato da ciò che mi diceva Mino Martinazzoli, ex ministro della Giustizia, nelle nostre tante e lunghe conversazioni nei cinque anni passati insieme sui banchi dell’opposizione regionale. Lui non era così contrario alla separazione delle carriere.
La strada è comunque molto lunga e impervia. Trattandosi di legge costituzionale richiede quattro voti del Parlamento ed oggi se ne è fatto uno solo alla Camera. Poi potrebbe esserci il referendum il confermativo se l’approvazione non avverrà con i due terzi di entrambe le Camere.
Autonomia differenziata delle Regioni. È il tema su cui ho la maggiore consapevolezza critica. La mia convinzione è tranchant. Non approvo la legge Calderoli e sono convinto che la riforma migliore sarebbe rifare tutto il noto Titolo Quinto della Costituzione introdotto nel 2001.
Lo avevo sostenuto allora, quando era stato proposto e poi approvato dal centrosinistra, ma già al termine dei lavori che presiedevo sullo Statuto della Lombardia nel 2008 avevo maturato l’idea che sarebbe stata necessaria una profonda revisione di quella parte della Costituzione.
L’esperienza maturata sul campo mi fa dire che è necessario togliere dalle competenze regionali in Costituzione – anche solo “concorrenti” con lo Stato — materie come scuola, porti e aeroporti, grandi reti di comunicazione, produzione e trasporto dell’energia.
La Corte costituzionale con una sentenza alla fine del 2024 ha ritenuto illegittime alcune disposizioni del testo legislativo. Se la legge non verrà ulteriormente modificata potrebbero allargarsi e non ridursi le diversità fra le Regioni avanzate e quelle che arrancano.
Premierato ad elezione diretta. Meloni diceva che doveva essere “la madre di tutte le riforme”. In realtà il progetto presentato e finora approvato solo dal Senato è da respingere nella sua totalità e non solo perché manca ogni indicazione sulle indispensabili norme elettorali.
In realtà questa riforma renderebbe più debole il Parlamento, metterebbe ai margini il presidente della Repubblica e creerebbe una quantità enorme di potere per il capo del governo. Molto significativo che questa denuncia l’abbia fatta anche Giuliano Urbani, già ministro e fondatore di Forza Italia con Berlusconi.
Tutto ciò dimostra che queste riforme istituzionali non dovrebbero essere del solo governo ma materia condivisa da una più grande maggioranza del Parlamento. Che questo sforzo sia stato fatto dai proponenti è un’affermazione campata in aria.