Attualità

SILENTIANDUM

SERGIO REDAELLI - 23/05/2025

Più che referendum, potremmo chiamarlo maccheronicamente silentiandum, un evento di cui non parlare, che è meglio ignorare. Alla faccia della democrazia. Tacciono i giornali “governativi” e informa col contagocce la Radiotelevisione Italiana, l’emittente pubblica che gli italiani pagano con il canone annuo di 90 euro inserito nella bolletta della luce. Secondo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), nel periodo compreso tra il 9 aprile e il 10 maggio la Rai ha dedicato alla consultazione dell’8 e 9 giugno meno dell’1 per cento dell’offerta informativa (0,62). La percentuale scende allo 0.45 sulle reti Mediaset, che fanno capo alle forze della maggioranza e che remano dalla stessa parte. Appena un po’ più generose La7 (0,75) e Sky (0,82). Comunque una miseria, pur tenendo conto delle guerre in corso, della morte di papa Francesco e dell’elezione di Leone XIV.

Sabotaggio? Congiura del silenzio? Limitare le comunicazioni sgradite e usare il megafono soltanto per ciò che serve alla gestione del potere sembra essere la “narrazione” preferita dal governo Meloni, che controlla accuratamente le nomine e i notiziari Rai. Con tanti saluti al diritto dei cittadini ad essere informati in modo completo, imparziale e pluralista sui temi d’interesse pubblico. Giochi, trucchetti e colpi bassi, la vigilia del voto registra un po’ di tutto. “Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa”: dà fuoco alle polveri il presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, contraddicendo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che è invece contrario a “una democrazia a bassa intensità” che non partecipa al voto.

Prima di La Russa si era pronunciato per l’astensione elettorale il ministro degli Esteri Antonio Tajani (“non condividiamo la proposta referendaria e invitiamo a non votare”) e dopo di lui esponenti del governo e della maggioranza, in primis il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida secondo il quale “i quesiti sembrano un congresso del Pd più che un referendum”. Sono appelli e considerazioni accettabili dai partiti, non dalle cariche istituzionali dello Stato. Contro il coro anti-referendum e contro l’erosione dei diritti e delle tutele dei cittadini, la Federazione nazionale della stampa invita a votare SI per i cinque quesiti che chiedono di cancellare misure peggiorative delle condizioni di vita e di lavoro in Italia. Con queste motivazioni:

1) Ripristinare il reintegro obbligatorio per i lavoratori licenziati senza giusta causa, nelle imprese con più di 15 dipendenti, previsti dal contratto “a tutele crescenti”.

2) Rimuovere il tetto massimo di soli sei mesi all’indennità per i licenziamenti senza giusta causa nelle piccole imprese.

3) Reintrodurre l’obbligo di motivazione per i contratti di lavoro a tempo determinato, inferiori a dodici mesi, per tutelare il lavoro precario.

4) Lavorare con meno rischi di incidenti e di morti sul lavoro, una strage che ogni anno conta in Italia quasi mille vittime. Abrogare le norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità al committente, all’impresa appaltante e subappaltante.

5) Promuovere una norma di civiltà. Dimezzare, da dieci a cinque anni, il periodo di residenza legale in Italia richiesto per ottenere la cittadinanza italiana ai maggiorenni stranieri.

I referendum, osserva la Federazione della stampa, sono l’occasione per modificare politiche che si sono dimostrate fallimentari. In un mondo segnato da derive autoritarie, lo strumento per arginarle è proprio la pratica della democrazia, a cominciare dalla partecipazione al voto per i referendum. “Il Jobs Act – spiega Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi – ha reso tutti i lavoratori, compresi i giornalisti, più deboli e più precari. Non è un caso che le redazioni si siano svuotate e che oggi la maggior parte dei giornalisti siano lavoratori autonomi o collaboratori coordinati continuativi con redditi medi imbarazzanti per un Paese democratico”.

Prende posizione la stessa Agcom e “invita tutte le emittenti, nel rispetto della disciplina vigente, a dedicare un adeguato spazio informativo sulle questioni sottoposte al voto popolare affinché i cittadini abbiano gli strumenti per decidere con consapevolezza”. Protesta l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti dell’ente radiotelevisivo di Stato, secondo cui “il silenzio sul referendum punta ad affievolire l’esercizio della sovranità popolare che è sancito dall’articolo 1 della Costituzione”. L’Associazione lombarda dei giornalisti (Alg) invita infine a partecipare al voto per ripristinare una parte dei diritti cancellati a suo tempo dal governo Renzi.