Editoriale

PROVA D’AUDACIA

MASSIMO LODI - 25/04/2025

Comunque vada, la Chiesa dovrà cambiare. Non solo un nuovo Papa, anche una nuova strategia. Dicesi: la strategia c’è, immodificabile, antica, sacra. Leggete il Vangelo e adeguatevi. Sì, certo. Però aiuta il come. Pesano le circostanze. Conteranno stavolta più che mai. La questione non è il duello fra conservatori e progressisti, postbergogliani o neoratzingeriani o mettetela al modo che vi pare. La questione è guardare al futuro con gli occhi del passato e i riflessi del presente.

Grand’impresa. Tuttavia indispensabile. Le navate si svuotano, gli oratori idem, i seminari figuriamoci. Latitano i fedeli, vanno altrove i fanciulli, si rarefanno le vocazioni. E il comunicare, vogliamo parlarne? Un’arretratezza-monstre, del resto testimoniata dal venerabile de cuius, che mise sott’accusa le omelie: troppo lunghe, troppo noiose, troppo incomprensibili. Al netto di rare eccezioni. Poi il resto, e quale resto: l’impasse d’una istituzione che fatica a reggere l’andatura dei tempi, pur se i tempi volentieri ne seguirebbero il santo ritmo, qualora venisse rectam scandito.

Perciò urge l’uomo adatto, la personalità eccellente, lo spirito rivoluzionario. Leggasi: un Papa di speciale sensibilità popolare, speciale spirito d’interlocuzione, speciale equilibrio politico, speciale-specialissimo carisma. Un Papa audace, ecco. Preso da volontà d’esporsi al rischio epocale. Non chiamato a rompere con la storia, nessuno si sogna una simile fesseria, però a rimodellarla sulle cronache, questo sì. C’è una perduta contemporaneità da conquistare, soprattutto d’impronta giovanile. È tra le file dei ragazzi/ragazze che van pescati i rifondatori dell’avveniristico mondo cattolico, altrimenti destinato ad arrancare, se gli va bene. A smorzarsi fino allo spegnimento, se gli va male. Pur annoverando, memento, un miliardo e 400mila affezionati-adepti.

Alla Chiesa, preso atto delle anime in fuga da sé stesse, vien chiesto di far fruttificare le radici in un terreno incognito: il domani del Terzo Millennio. Allo scopo serve unità di sostanza, pur nelle varie articolazioni di contributo in cui si deve manifestare. Diciamo “deve” perché la dialettica (un utile diverso pensare, più volte apprezzato da Bergoglio), rappresenta il sale dell’evoluzione, la benzina dello sviluppo, l’innesco d’una stagione catartica. Necessaria a restituire forte centralità alla voce del Nazareno.

Dunque guardare lontano e alto, affidando la missione impossibile al possibile esecutore. Ci vorrebbe un miracolo? Eh sì che ci vuole, ma se i miracoli non li fanno gli uomini di Chiesa, chi li deve fare? Perciò sia benvenuto l’ardimento, che d’altronde in dose massiccia mostrò quel sovversivo di Gesù. Andargli dietro per andare avanti: il cristianesimo impone agli epigoni del fondatore, se non di risultarne all’altezza, almeno di non sfigurare. Tocca alla Chiesa in uscita aprirsi sempre di più per non chiudersi nella marginalità.

Ps

La pace, che invano il pontefice venuto dalla fine del mondo chiese al mondo dei potenti mai venuto della sua idea, potrebbe guadagnare punti nel prima-durante-dopo le esequie vaticane. Sarebbe un segno della Provvidenza, obbediente all’ideale/concreto lascito testamentario di Francesco. Ovvero: facilitare incontri fra mondi ostili mai trovatisi fianco a fianco. Occhi negli occhi. Coscienza contro incoscienza. Le vie del Signore sono infinite, specialmente se lastricate di solenni sampietrini. Oremus.