C’è un linguaggio semplice e diretto, molto efficace, che non contempla giri di parole né discorsi complessi. È quello dei politici populisti che reggono le sorti del mondo, di un singolo Stato, di un ministero: personaggi che anziché avere a cuore la crescita di consapevolezza civica degli elettori studiano ogni modalità per manipolarne il consenso.
Da quando il populismo sta occupando uno spazio sempre più grande, buona parte del linguaggio politico si è piegata all’esigenza di conquistare quante più persone ricorrendo alle vie brevi: slogan, metafore di vita quotidiana, stravolgimento dei fatti.
I messaggi sono diretti alle paure del futuro che in tanti nutriamo: ti difenderò io che parlo come te, che sono uno di voi, non un intellettuale presuntuoso, non uso concetti difficili perché tu mi possa capire al volo! Vedi che i nemici sono alle porte, i progressisti, i comunisti immaginari, gli stranieri, i migranti.
I rappresentanti del nemico vanno offesi, ridicolizzati, insultati. Si sappia che i cittadini europei sono “parassiti” che hanno goduto di decenni di pace e di benessere a spese degli Stati Uniti. Adesso però “la pacchia è finita!”.
Se i populisti decidono di appropriarsi di un territorio appetibile per le sue risorse, bisogna che sia chiaro da subito che “Noi ce lo prenderemo, con le buone o con le cattive”.
Il presidente Usa dichiara che in 48 ore farà finire la guerra in Ucraina” anche se sa di non avere i mezzi per farlo ma l’impatto sulla folla entusiasta è forte: la gente comune ama trovare negli altri la risolutezza e la spregiudicatezza che non ha mai avuto.
Quando poi la guerra continua la colpa viene attribuita sempre agli altri, a coloro che gli hanno impedito di farla cessare. Ogni populista dichiara che noi non siamo come “loro”: come quei radical chic che leggono libri incomprensibili e usano un linguaggio oscuro. Siamo gente schietta, senza fronzoli, e possiamo rimandare a casa gli immigrati che rubano, stuprano e ci portano via il lavoro.
E perché non ci siano dubbi sulla malvagità dei migranti, li definisce in una lingua mista anglo- spagnola “Bad hombres”.
Un’occhiata ai programmi politici dei populisti ci conferma la loro pochezza. Alcuni slogan. “Make America Great Again”, frase fin troppo lunga che va abbreviata nell’acronimo MAGA, una parola così facile che finisce direttamente sui cartelli e sulle magliette dei sostenitori.
Tutto in maiuscolo, secondo le regole dei social a gridare a gran voce “FAKE NEWS! “TOTAL DISASTER!”. Un populista inoltre si offre come il capo di ogni azione. I AM YOUR VOICE! fa sapere. Lasciamoci guidare da lui, fidiamoci e affidiamoci perché lui sa sempre che cosa fare.
Infine tra gli altri lo slogan che anticipa il risultato finale della lotta contro il nemico: “SVUOTEREMO LA PALUDE!”
Sovente il linguaggio semplificato e urlato del populismo si combina con una elementare simbologia unita a una prossemica in cui ognuno si può riconoscere. Vediamo il populista nostrano che mangia Nutella a cucchiaiate e va a stringere mani in un mercato dove non ha mai messo piede prima. Vuole rappresentante la gente comune, che mangia ciò che più le piace senza preoccupazioni salutiste e d’estate frequenta le spiagge della Riviera romagnola, mentre gli snob nemici progressisti hanno casa nelle località esclusive e comprano “bio”.
Il bravo populista usa un linguaggio pop, con le parole d’ordine sicurezza, confini, buonsenso, famiglia tradizionale, prima gli italiani.
I populismi dei Paesi diversi si assomigliano, stessi slogan, medesime direttrici, il comune sogno di un mondo privo di conflitti in una società costruita a loro immagine, compatta e chiusa in se stessa. Il populismo ha un solo vero nemico: il pensiero critico. Per questo, oggi più che mai, la parola più rivoluzionaria che possiamo pronunciare è una sola: pensare autonomamente.