
Ricordo quando, uscito dallo scompartimento e affacciato al finestrino del corridoio del vagone, guardavo le carrozze che precedevano affrontare, piegando a seguire i binari, le curve alle quali il treno era dalla conformazione del terreno, nel percorso, obbligato.
Il vento a sferzare il viso e la conseguente, gioiosa, energia.
Mete – l’una più dell’altra lontana – Roma e Genazzano.
Andavo, d’estate, a quei tempi, a trovare i nonni e i fratelli più giovani dei miei genitori.
A vivere, per qualche giorno di differente felicità, dapprima l’appartamento romano di via Calabria numero 32, nel quale, tutti i figli (e mano a mano nuore, generi e nipoti che, io capostipite, sarebbero nati) disposti e consapevoli – la consorte Gina in qualche modo visibilmente soggetta – l’avo paterno Gino Raffo Bontemps de Montreuil, altissimo dirigente statale, imperava con assolutamente non forzata autorevolezza consentendo solo, quando, io davvero bambino e prima che mancasse, veniva a trovarmi, all’ultranovantenne suo padre Omero di modificare secondo l’estro il rituale.
E poi – una settimana ed era il momento – un paio d’ore di littorina e pullman, la del tutto differente atmosfera campestre, del Tofale, dimora discosta dal paese, a Genazzano.
Laddove, avendo totalmente delegato in altri tempi – per via delle continue lontananze sui mari – e per carattere alla moglie Giorgina i poteri domiciliari, l’altro nonno, Comandante Enrico della Porta Rodiani, rappresentava un del tutto contrastante modello d’uomo.
Tanto vicino e attento Gino, quanto lontano e disinteressato Enrico, tra i due, però, incredibilmente, nel campo degli affetti, era il Comandante a prevalere.
Càpita che a tanta distanza di tempo, ancora mi chieda se e come e quanto abbiano su di me influito quelle – come dimostro anche in queste righe – due tanto prominenti figure.