
Nei dibattiti che hanno accompagnato la preparazione della legge di bilancio c’è in modo particolare un tema che colpisce per il modo con cui è stato affrontato. È la proposta, peraltro accolta in parte, di bloccare l’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aumento della speranza di vita. Più che di effetti reali, di costi e oneri per il bilancio pubblico, del senso del lavoro e della pensione, si è infatti affrontato il tema puntando su toni drammatici, con slogan ad effetto (“ci faranno andare in pensione a ottant’anni!”), dimenticando i termini reali della questione.
Va ricordato che la riforma Fornero, varata nel lontano 2011, prevedeva non solo un aumento immediato dell’età legale di pensionamento, ma anche la necessità di adeguare periodicamente, ogni tre anni, questa età seguendo l’andamento della speranza di vita, in pratica tenendo conto dell’aumento degli anni in cui i pensionati “godono” della pensione.
In realtà sono ancora pochi i lavoratori che arrivano al tetto. L’età media del pensionamento si colloca in Italia tra i 64 e i 65 anni, grazie alle innumerevoli forme di pensionamento anticipato che tra riscatti ed eccezioni fanno sì che l’Italia abbia l’età reale di pensionamento tra le più basse d’Europa, insieme alla Francia.
Ma torniamo al tema dell’allineamento alla speranza di vita. Nel 2013 c’è stato il primo scatto di tre mesi e l’età pensionabile è salita a 66 anni e tre mesi. Lo scatto successivo è avvenuto nel 2016 (quattro mesi), l’ultimo nel 2019: con cinque mesi in più si sono raggiunti i 67 anni. Poi è venuto il Covid che ha colpito in modo particolare gli anziani e facendo fare alla speranza di vita il passo del gambero. Poi dal 2023 la crescita è ripresa in maniera ancor più significativa con un aumento in un solo anno di cinque mesi.
In dodici anni l’incremento della speranza di vita è stato di circa 2 anni per gli uomini e 1 anno per le donne arrivando in media a 83,4 anni, con gli uomini a 81,4 e le donne a 85,5.
La necessità di adeguare l’età pensionabile è dettata da più di una esigenza. In primo luogo, per limitare il peso delle pensioni sui conti pubblici dato che si prolunga il periodo in cui si pagano i contributi e si ritarda il pagamento delle rendite. Un elemento importante perché mentre aumenta il numero dei pensionati, dato che fortunatamente si vive più a lungo, diminuisce il numero dei nuovi lavoratori per effetto del sempre più forte calo demografico.
Nell’ipotesi di legge di bilancio presentata al Parlamento è stata scelta una via di mezzo: adeguamento graduale di un mese all’anno ed esclusione dei lavori usuranti. Il blocco sarebbe costato tre miliardi il primo anno e almeno venti miliardi nell’arco dei prossimi cinque anni. Il costo scende così a poco meno di 500 milioni il primo anno e a poco più di tre nei prossimi cinque anni.
C’è comunque da sottolineare che le condizioni attuali di lavoro sono nettamente cambiate e migliorate rispetto al passato, fatte salve le debite eccezioni per gli impieghi faticosi ed usuranti, come quelli di operai edili, infermieri, maestri d’asilo, lavoratori notturni che hanno infatti ottenuto condizioni particolari.
Sarebbe poi ora di accantonare la visione del lavoro come schiavitù, come impegno da cui liberarsi il più presto possibile. Il lavoro è una parte essenziale, certo non l’unica, per realizzare se stessi, per dare un senso alla propria vita, per allacciare relazioni e sviluppare rapporti interpersonali.
“L’uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all’incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli”. Sono le prime parole dell’enciclica Laborem exercens di San Giovanni Paolo II.
Se quindi è importante, soprattutto per le prossime generazioni, tenere sotto controllo i conti pubblici, è altrettanto importante valorizzare le persone e il lavoro di ciascuno. Perché lo sbaglio peggiore che la politica può fare, e spesso fa, è quello di cercare solo un facile consenso dimenticando il futuro.