Pensare il Futuro

INVOLUZIONE VERDE

MARIO AGOSTINELLI - 31/10/2025

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Con l’abituale veemenza con cui annuncia in Parlamento le sue battaglie, Giorgia Meloni nel dibattito alla Camera dei Deputati ha svolto un attacco al Green Deal europeo che le cronache hanno in gran parte sottovalutato. Ha sostenuto che il governo italiano non darà il minimo assenso ad una conferma degli obbiettivi di riduzioni delle emissioni previste al 2035 e non sosterrà la previsione del net zero al 2040. Ha definito “ideologico” l’approccio Ue e ha aggiunto che condurrà con la stessa determinazione del capo di governo tedesco Merz il contrasto al passaggio all’elettrico per i motori degli autoveicoli al 20235.

Con questa posizione – che si nasconde sotto lo scudo della “neutralità tecnologica” – il governo italiano si pone in prima fila nello sconfessare la politica verde Ue anche in vista dell’appuntamento della Cop 30 di Belem. Ormai la leadership sui temi ambientali sta passando dal Vecchio Continente a Brasile e Cina, mentre l’asse politico della UE si sposta sempre più a destra.

L’involuzione antiambientalista del governo italiano è ormai ampiamente riscontrabile in una politica energetica sempre più subalterna ai disegni di Trump, che prevede per il nostro Paese l’attracco principale delle sue navi gasiere.

Il distacco tra la sensibilità della popolazione al cambiamento climatico e la noncuranza per questo tema da parte dei governanti dovrebbe concretizzarsi anche in una rappresentanza politica che, almeno a sinistra, si faccia portatrice delle preoccupazioni delle nuove generazioni per un futuro sostenibile e vivibile. Ma tutto procede in un crescendo oscurantista avvolto dal silenzio.

A Bruxelles la nostra Presidente del Consiglio ha manifestato con decisione le proprie intenzioni, che hanno alle spalle il sostegno non solo delle imprese fossili ma di tutta la Confindustria, senza nessuna remora per le conseguenze di una politica che penalizza l’occupazione, oltre che la cura del Pianeta e la difesa della vita della biosfera.

Ormai il Consiglio UE si sta convincendo che sia necessario cambiare passo sul Green Deal: lo ha ribadito il 23 Ottobre con una decisione che richiama la “necessità dell’industria a competere a livello globale”. Un abile paravento che si concretizza nella più schietta libertà di impresa: “La competitività europea passa dalla semplificazione normativa e dalla doppia transizione verde e digitale” ha scritto Ursula von der Leyen nella risoluzione finale. Insomma: il cappello sotto il quale si copre l’epocale inversione di tendenza è quello della competitività, parola magica, nobilitata dall’allentamento dei vincoli per le imprese per rispettare gli accordi sul clima di Parigi.

In buona sostanza, – direbbe la Confindustria d’accordo con la Presidente del Consiglio – la precondizione della competitività è la semplificazione legislativa e la massimizzazione del profitto.

Credo che siamo di fronte al più grande attacco di sempre contro il Green Deal, che si concretizza in continui passi indietro per decisioni prese da tempo che stanno creando insicurezza negli investimenti, mettendo a rischio l’industria europea e consegnando le chiavi del futuro delle tecnologie pulite alla Cina. Un Paese che sta guardando al futuro con maggiore responsabilità delle nostre élite governative, così disposte a rinunciare alla scommessa della cura della Terra così cara a papa Francesco.