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Politica

SEMPRE OLTRE IL NUOVO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 22/03/2013

Dopo vent’anni di insulse polemiche su “chi è di destra” e “chi è di sinistra”, dopo un sistematico lavaggio del cervello dei nostri connazionali sulla necessità di “stare di qua” oppure “stare di là”, la scelta dei “grillini” di non sedersi da una parte o da quella opposta nell’emiciclo parlamentare ma in alto, sui banchi superiori, ha messo in crisi le vecchie volpi della politica.

Si tratta evidentemente di un gesto simbolico ma i simboli servono appunto per rendere evidente una incerta realtà: le categorie della politica sono cambiate perché il mondo si è completamente trasformato.

Nel Novecento il partito di massa aveva cambiato la politica e il capitalismo aveva trasformato la società; nel Duemila la flessibile società post-moderna è stata sconvolta dai processi della globalizzazione e i partiti devono ridefinire le loro identità; non basta indicare l’area di appartenenza ma occorre dire cosa si vuole, fare dei programmi e non divagare su formule superate e slogan vuoti. False identità e leader posticci non risolvono i problemi della politica e della società; il consenso che gli elettori hanno tributato al “Movimento 5 Stelle” ha dato il colpo di grazia al processo di logoramento dei partiti della Seconda Repubblica e alle insufficienze dei politici professionisti, ma il sogno romantico di mettere il cittadino al centro del “decision making” non è sufficiente per rispondere alla difficoltà e alla gravità della situazione, soprattutto di fronte alla stridente contraddizione tra un desiderio di democrazia diretta fatta di partecipazione e un capo unico al comando: quella del capo, del leader, della guida, del duce è un’anomalia eredità dal fascismo.

La pletora dei “grillini” che entrano in Parlamento con la supponenza di essere gli unici detentori della verità e della giusta soluzione sono l’altra faccia della politica, quella che semplifica la complessità sociale e impedisce una ricerca comune, una collaborazione inclusiva. Questa tentazione ha sempre accompagnato la politica e le ideologie sono, appunto, il tentativo di riassumere in pochi schemi, sclerotizzati dal tempo, una realtà che evolve, si trasforma e necessita della collaborazione di tutti per essere decifrata.

Il presidente Jackson era convinto che tutti fossero in grado di accedere al governo pubblico e così inventò lo “spoil system”, il governo degli amici al posto di quello dei funzionari. Anche Lenin era persuaso che la sua cuoca fosse all’altezza delle responsabilità di governo ma poi lasciò che fosse Stalin a prendersene cura. La semplificazione si sposa con il conformismo; se tutti pensano la stessa cosa deve essere per forza quella giusta: la massificazione della cultura è stata incentivata dai media di massa. Tuttavia, descrivendo la peste del Seicento, il nostro Manzoni riferisce che la maggior parte della gente aveva accettato il “senso comune” secondo cui il flagello era provocato dal complotto degli “untori”; però c’era una minoranza che, ragionando con il “buon senso”, escludeva tale ipotesi ma temeva di esporsi per non essere disapprovata dal pubblico. Il risultato di questa commistione tra conformismo e semplificazione è che la politica non guida, non educa, non sceglie, non decide.

I partiti sono per la continuità, i movimenti per la totale discontinuità, nessuno ammette che la soluzione possa trovarsi a mezza strada e la si possa cercare insieme. La comprensione dei problemi è l’arma decisiva che hanno i cittadini per non essere circuiti da imbonitori e seduttori, ma dove sono le agenzie educative (partiti, scuola, associazioni, chiese) che spiegano, in un momento di depressione e di crisi, l’economia e le sue regole, il circuito economico, i fattori della produzione, le funzioni del mercato, i limiti e le potenzialità dell’intervento dello Stato?

“Mettiti nei panni di un disoccupato o di un giovane precario – mi diceva un amico promotore finanziario – non avresti votato anche tu per Grillo?”. Francamente no, non vedo come praticando la decrescita economica, uscendo dal sistema dell’euro, ritornando ad una impossibile attività agricola dopo che abbiamo distrutto il territorio e l’ambiente, rifiutando di costruire con senso del limite le essenziali infrastrutture, si possano creare posti di lavoro.

L’Italia, come sempre, è spaccata in due, quella che crede nel volontarismo e quella che si fida del professionismo, quella schierata con il “nuovo” e quella che vuole oltrepassarlo in un indefinito futuribile; non c’è più divisione tra destra e sinistra ma una sfiducia reciproca radicale; le due società non si fidano e non comunicano e quindi sono allo stallo. È vero che si parla ancora di democrazia, “ognuno vale uno”, ma tutti devono fare riferimento al leader carismatico che non fa riferimento a nessuno. È la situazione ben descritta da George Orwell nella “fattoria degli animali” dove tutti sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri. La nave continua ad andare, anche se non è chiara la meta; la gente è rassicurata dal fatto che essa “è in mano al cuoco di bordo; e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma quello che mangeremo domani” (Soren Kirkegaard).

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