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Politica

LA VISIONE CHE MANCA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 27/11/2015

La “città diffusa” dell’Alto Milanese

La “città diffusa” dell’Alto Milanese

La campagna elettorale per le elezioni amministrative di primavera (oltre 1200 comuni, alcune grandi città come Milano, Roma, Napoli) s’è già iniziata, alcuni partiti hanno indicato i nominativi dei candidati alle “primarie” per concorrere alla carica di sindaco.

Il quadro non è ancora completo ma si intravedono alcune linee di tendenza non sempre positive.

I partiti si sono rivolti anche a personaggi della “società civile” dimostrando di non avere molti politici spendibili per le elezioni; ma la città è, per eccellenza, la “polis”, il luogo delle differenze, sorta per superare incompatibilità e instaurare un regime di tolleranza e di rispetto per i cittadini che hanno diverse opinioni ma devono tuttavia collaborare alla realizzazione del bene comune. La città segna l’inizio della civiltà umana e logicamente dovrebbe essere governata da uomini non solo onesti ma anche esperti nei problemi cittadini. Non basta avere “senso civico”, la politica è una disciplina che esige studi specifici e un vasto dibattito e che si interseca con altre discipline scientifiche. Il rinunciare a proporre candidati forgiati da una autentica esperienza politica non costituisce un progresso ma un passo indietro di tutta la comunità. Il rifiuto dei politici si spiega per il basso livello di credibilità dei partiti ma, scegliendo il personale fuori da essi si peggiora la qualità dell’amministrazione…

I personaggi della “società civile” hanno spesso una notevole competenza settoriale ma difettano di una visione complessiva della città e non hanno alle spalle un completo programma politico che è il frutto di una elaborazione e di una discussione comune. Infatti i nomi apparsi in questi giorni presentano delle proposte generiche, dei desideri, degli auspici, che quasi mai costituiscono una indicazione di ciò che si deve fare con le risorse disponibili.

Tutti sono caratterizzati da obiettivi particolari, anche interessanti, ma non hanno un progetto complessivo della città; in altre parole non sono sostenuti dalla specifica disciplina che presiede allo sviluppo complessivo, cioè l’urbanistica, che viene confusa con l’architettura che invece si interessa specificatamente degli edifici.

Ma senza un progetto la città è destinata a frammentarsi, a crescere smisuratamente dando origine a squallide periferie e ad una aggregazione urbana ininterrotta che distrugge il paesaggio, e contribuisce all’inquinamento e al cambiamento climatico.

A partire dal 2007 la parte urbanizzata del mondo ha superato quella non antropizzata; è venuta meno la distinzione fondamentale tra città e campagna: la prima è quella che consuma le risorse naturali mentre la seconda è quella che le produce e serve a riparare i danni provocati dallo sfruttamento umano.

L’auspicio di molti candidati di preservare il verde, le opere artistiche e i monumenti è inadeguato rispetto alla tendenza della “città diffusa” che, con la cementificazione, ha trasformato la Valle Padana in una coniugazione urbanistica continua. Anche la provincia di Varese è coinvolta in tale processo: perché è la zona dove si costruisce di più e ormai tra Milano e Lugano stanno scomparendo i vecchi borghi con le loro identità, non solo fisiche ma anche di tradizioni, di costumi e di valori condivisi.

Che senso ha preservare un parco, conservare un edificio di pregio o una fontana quando tutto il resto è soffocato dal cemento e dall’asfalto.

La “città diffusa” non è più sostenibile neppure tecnicamente. Gli spazi urbanizzati sono troppo ampi per essere dotati di reti per l’illuminazione, l’energia, le fognature, i mezzi di trasporto collettivo. Essa è all’origine di una scarsa qualità della vita per gli abitanti, provocata da diversi tipi di inquinamento (dell’aria, dell’acqua, del suolo, da rumore); invece di diventare più fruibile per i cittadini rischia di diventare un luogo invivibile dove, peraltro, scaturisce la violenza per la perdita progressiva della coesione fondata sulla condivisione dei valori comuni e dove il traffico congestiona le strade urbane e inquina l’atmosfera, contendendo ai pedoni persino i marciapiedi.

La comunità scientifica prevede che il cambiamento climatico che ne consegue può far innalzare la temperatura terrestre di due gradi entro pochi decenni, provocando lo scioglimento dei poli e quello dei ghiacciai e un innalzamenti dei mari che sommergerebbe molte nostre città.

Il rischio della non sostenibilità ecologica per il nostro pianeta non solo è concreto ma anche prevedibile nei prossimi decenni di questo secolo.

Di fronte a questo inquietante scenario che affligge i governi e, in varia misura, la comunità internazionale, i nostri “ambientalisti” si preoccupano degli aspetti particolari; afferrano cioè il problema per la coda anziché affrontarlo nelle sue cause originarie.

Già il Machiavelli, inventore della scienza politica, osservava che i nostri compatrioti sono bravissimi nel percepire gli aspetti parziali ma incapaci di cogliere la complessità dell’insieme.

A Varese c’è stata una vasta mobilitazione per la rimozione della fontana di piazza Carducci e il futuro autoparcheggio alla Prima Cappella, ma nessuna attenzione è stata rivolta all’estensione della città fino a quattro volte la dimensione del dopoguerra, mentre gli abitanti tendono a diminuire.

Sarebbe necessario che all’elenco delle cose auspicabili da fare fosse premesso un capitolo dedicato alla forma e alla misura della città. Occorre fissare la sua estensione massima in modo da fissare nettamente la distinzione tra area urbanizzata e quella verde, creando una cintura arborea (“green belt”) e costruire sul “già costruito”, nel recupero e nel restauro degli edifici fatiscenti, nell’ utilizzo degli spazi abbandonati o inservibili, come gli scali ferroviari, evitando l’aumento delle volumetrie che comporta l’ ulteriore cementificazione, che, a sua volta, impedisce la permeabilità del suolo.

Con la “città compatta” i percorsi vengono abbreviati, il traffico diminuisce, la città può essere più facilmente dotata di tutte le reti di servizio e raggiunta dal trasporto collettivo, risparmiando le risorse naturali che possono essere parzialmente rigenerate dalla salvaguardia del verde: un albero assorbe anidride carbonica, restituendola sotto forma di ossigeno, quanto mezza dozzina di autovetture e costituisce un naturale regolatore del clima.

Infine, anche in un contesto dove predomina l’individualismo e la personalizzazione delle attività, il sindaco è un ruolo importante ma lo è anche la squadra che deve gestire con lui la cosa pubblica.

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