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Attualità

LA MEDAGLIA DI VEDANI

MANIGLIO BOTTI - 29/03/2013

Pierfausto ai microfoni di Radio Missione Francescana

Nell’autunno del 1969, pochi mesi dopo che La Prealpina s’era trasferita dalla sede di via Ghiringhelli, nel palazzo della Questura, al domicilio attuale di viale Tamagno, i giornalisti “titolari”, oltre al direttore Mario Lodi e al condirettore Nino Miglierina, erano sei: Ambrogio Lucioni e Gaspare Morgione, che si occupavano della prima pagina, Giuseppe Meazza, storico capocronista della cronaca varesina con Natale Cogliati praticante, Vittorio Mambretti alle pagine del Varesotto e Pierfausto Vedani, redattore delle importantissime pagine dello sport: il Varese calcio, ora guidato da Nils Liedholm, era retrocesso in serie B ma avrebbe presto compiuto un prodigioso recupero; l’Ignis pallacanestro aveva appena vinto lo scudetto tricolore e un altro l’avrebbe conquistato nella stagione presente e successiva, per non dire della Coppa dei Campioni, che la squadra di basket vinse nel ’70, giocò da finalista nel ’71, rivinse nel ’72 e nel ’73… Insomma, i tifosi erano migliaia – assatanati e competenti – e altrettanti erano i lettori.

A fianco della sparuta compagine giornalistica, c’era un terzetto di bambini – cronisti – collaboratori pagati a riga: il sottoscritto, Max Lodi, Enzo Tresca. Se noi eravamo ragazzi, Gaspare Morgione e Pierfausto Vedani – i nostri maestri – erano due giovanotti che ancora non avevano toccato i quarant’anni, prima soglia di un giornalismo avveduto e maturo… Adesso Gaspare – “Quello biondo seduto nel box di mezzo” – e Pierfausto hanno già varcato di più di un passo gli ottanta. Gaspare, straordinario vignettista e fine scrittore, ha ricevuto lo scorso anno dall’Ordine dei giornalisti di Milano la medaglia d’oro per i cinquant’anni di professione. Vedani la riceve in questi giorni.

Che dire. È trascorso quasi mezzo secolo da quella bellissima stagione giornalistica e di vita. Vedani, che prima di approdare a Varese s’era fatto le ossa all’Ordine di Como, al Corriere della Provincia e alla Provincia, più che un maestro è stato ed è un fratello, il fratello maggiore che né io né Max, entrambi figli unici, non abbiamo avuto. Per tanto tempo s’è parlato della Prealpina – almeno, della Prealpina di quegli anni – come di una famiglia, dove i giornalisti erano un po’ nonni, papà, zii… fratelli.

Non è retorica. È una realtà. Perché era successo con noi “ragazzini” e avvenne anche con altri giovani cronisti che arrivarono poco tempo dopo di noi, penso a Gianni Spartà o a Vincenzo Coronetti: il clima che si creava, che si era creato, superava di gran lunga quello del classico, tradizionale “ambiente di lavoro” per diventare in tutto e per tutto quello di una famiglia. Anche con i suoi problemi e con i suoi attriti, qualche volta. E con le sue felicità e con i suoi dolori. Ma pur sempre una famiglia, o un clan, dove passavano alcune parole d’ordine importanti, che travalicano il dogma giornalistico del rispetto della notizia. Prima viene sempre il rispetto degli altri, delle persone, che sono più importanti delle notizie. E che è poi anche il rispetto di sé stessi. In questo l’insegnamento di Pierfausto – cui per il mio lavoro di cronista sono sempre stato particolarmente vicino – è stato fondamentale. Un insegnamento di vita.

Da redattore dello sport il suo cammino nel giornale – sempre affiancato da Morgione – è stato meritoriamente prodigioso, fino a prenderne il posto di guida, quando Mario Lodi si mise a riposo, prima come caporedattore responsabile e poi come direttore. Gaspare divenne condirettore.

All’esterno la sua ascesa, forse, poté da qualcuno essere considerata il frutto di un’abilità manovriera e diplomatica, le furbe mosse di un cardinalone di curia. Niente di più sbagliato, perché dietro c’erano l’umanità, la semplicità, e anche il disincanto e lo scherzo. E, magari in maniera inconscia, erano proprio queste le qualità che venivano maggiormente premiate.

Gianni Spartà, che era appena entrato da collaboratore al giornale, ancora sbalordito, ricorda spesso Vedani – il Capo – mentre la notte gironzolava tra i tavoli della tipografia fischiettando e pedalando su una vecchia bicicletta. Oppure quando, all’improvviso, mentre eri concentrato nella scrittura di un pezzo delicato, piantava una pedata sulla scrivania e lanciava un urlo sovrumano con una mossa – quella della gamba – da étoile della Scala ma che adesso gli provocherebbe un sicuro ricovero in traumatologia. O, ancora, gli scherzi micidiali che combinava al telefono, avendo la capacità di saper camuffare la voce con quella dei personaggi più impensati: lettori stravaganti, avvocati, giornalisti colleghi di grandi giornali, il provveditore agli studi…

Il che non faceva per nulla venire meno la sua profonda cultura, mai esibita ma certa e ben presente, la sua onestà intellettuale e morale, la sua maestria, la professionalità che gli ho visto mettere in uso nei momenti più difficili, o drammatici. Come quando una notte – mancavano pochi minuti all’una – ricevemmo la notizia di una famiglia di Induno Olona – il papà, la mamma, i figlioletti – sterminata in un incidente della strada in Svizzera e nell’incendio che ne era derivato. Con pochi e rabberciati appunti scritti sul bordo bianco del giornale che teneva sempre aperto sulla scrivania scese in tipografia, si mise a fianco del linotipista Sergio Ermolli e dettò a braccio una colonna di un pezzo magistrale.

O come quando – in un’altra notte tragica – arrivò dal pronto soccorso dell’ospedale Sant’Anna di Como la notizia tremenda che un giornalista varesino, il nostro Enzino Tresca, era stato travolto e ucciso da un’auto dalle parti di Appiano Gentile, mentre camminava a fianco di una ragazza. Solo Vedani, seppure con lo strazio nel cuore e con le lacrime agli occhi, ebbe la forza di mettersi alla macchina per scrivere e tracciare un articolo memorabile.

O, ancora, il suo equilibrio, la sua umanità sempre dimostrati nei momenti più cupi dei cosiddetti anni di piombo, quando a essere in pericolo e insidiate, in qualche modo, non erano le notizie, ma le stesse nostre vite e le nostre famiglie.

Chi ha fatto, chi fa il cronista sa come sia difficile, a volte anche impossibile, rispondere a queste prove. In ciò, credo, la grande esperienza maturata in un “piccolo” giornale di provincia davvero niente ha da invidiare a quella che si può fare stando in un grande giornale.

Non so se dietro alla medaglia d’oro che Pier riceve dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia ci sono tutte queste cose. Ma il “Veda” sa che per noi, i suoi ragazzi, i suoi diletti “fratellini”, esistono ed esisteranno sempre, e che gli auguriamo ancora tante, tante medaglie. Fino a “quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo”.

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