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Apologie Paradossali

DEMOCRAZIA BANCARIA

COSTANTE PORTATADINO - 12/04/2013

La prossima assemblea societaria della Banca UBI, la banca popolare principalmente radicata a Bergamo e a Brescia, ma che ha assorbito il Credito Varesino e la Banca Popolare di Luino e Varese, cioè la quasi totalità degli istituti di credito nati sul nostro territorio e che quindi avremmo qualche ragione di considerare un po’ “nostra”, ha marginalmente interessato anche l’opinione pubblica della città.

Lungi da me l’idea di coinvolgere RMFonline nelle animose vicende delle liste contrapposte di aspiranti amministratori e nelle divergenti valutazioni che esse esprimono. Vorrei solo osservare che in mezzo a tanta crisi di democrazia politica, la possibilità di agire in modo democratico e tendenzialmente egualitario in un settore così delicato come quello del credito, per di più in riferimento al quinto gruppo bancario italiano, non dovrebbe essere considerata cosa da poco.

Mi limito a segnalare un problema molto serio: il mantenimento o meno della natura di cooperativa ovvero la trasformazione in società per azioni. La differenza è sostanziale: nelle cooperative il voto del socio è capitario, cioè, come nella democrazia politica ogni testa vale un voto; nelle società per azioni, invece, vale il capitale posseduto da chi esprime il voto: qualcuno vale uno, qualcun altro un milione di volte tanto. E non voglio negare che le società per azioni abbiano la loro funzione. Però le banche popolari e quelle di credito cooperativo, ancor più piccole e diffuse (una volta si chiamavano Casse Rurali e Artigiane), hanno avuto e mantengono una funzione insostituibile nella frammentaria economia italiana. Per non sdottorare su un argomento di cui ho poca competenza, mi rifaccio ad un articolo dell’economista Giulio Sapelli, che commentando l’analoga vicenda della Banca Popolare di Milano, poche settimane fa, riprendeva un testo di Luigi Luzzatti, il fondatore, che nel 1881 scriveva al presidente della BPM le valutazioni che mi permetto di riportare.

“…giunta a sì meravigliosa prosperità, avrei voluto ricordare ai Soci antichi, che mi aiutarono a fondarla, e narrare ai nuovi, che ne vedono i benefici le prime origini umilissime e com’essa debba la sua presente fortuna a quei principi di mutualità e di previdenza, che tu e i tuoi colleghi avete custodito con tanta saldezza…. Oggidì un solo pericolo sovrasta sulla nostra istituzione, ed è che, sedotta dai pingui dividendi ed inorgoglita dal successo, ponga in oblio quelle ideali aspirazioni che l’alzarono a tanta grandezza. Fu notato che le difficoltà acuiscono i caratteri, la fortuna li indebolisce. Noi non facciamo soltanto un affare, ma compiamo un dovere; noi non punge lo studio di soverchi lucri, ma un alto senso di solidarietà sociale…”.

Lasciando al solerte lettore la possibilità di ritrovare l’intero articolo su www.ilsussidiario.net, faccio mie e trasferisco a quest’altro caso le conclusioni dell’illustre economista contemporaneo: “Gli ideali cooperativi sono oggi vere e proprie forme di vita e di sopravvivenza che si offrono alle piccole imprese agli artigiani, ai commercianti a noi popolo minuto e ai dipendenti stessi della banca che, dinanzi al pericolo di vedere crollare in rovina una così storica e meravigliosa istituzione, dovrebbero abbandonare tutte le divisioni e ritrovarsi nella difesa del voto capitario.

Infatti, quale che sia la ricchezza dei singoli componenti del corpo sociale, il voto capitario rimane lì, insormontabile macigno dinanzi alle sperequazioni sociali, alle differenze di ricchezze che pur si manifestano anche nel corpo stesso della Banca Popolare ma che non debbono determinarne il destino. Se ciò accadesse saremmo tutti più deboli dinanzi alla crisi economica, saremmo privati di un grande strumento educativo alla solidarietà sociale. Milano (Varese, Bergamo, la Lombardia) e l’Italia perderebbero una parte importante di quel patrimonio di testimonianza dell’aiuto solidale e comunitario che la Caritas in Veritate del grande Pontefice Benedetto XVI ci ha lasciato in eredità”.

Ben lontani dalla meravigliosa prosperità rammentata da Luzzatti e timorosi che le difficoltà non acuiscano i caratteri, ma piuttosto inducano a trasformazioni dell’ideale originario in più pratiche rivalutazioni del capitale in caso di vendita ad un gruppo più grande, siamo costretti dalle circostanze infelici ad assumere decisioni e comportamenti non rassegnati e non opportunistici.

E con questo ho aggiunto un piccolo granello di sale all’apologia dell’infelicità, rinviata ancora di una settimana.

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