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Politica

UN GOVERNO DI DEBOLEZZA NAZIONALE?

CAMILLO MASSIMO FIORI - 03/05/2013

La formazione del nuovo governo è stata turbata da un gravissimo episodio: i colpi di arma da fuoco sparati da un disoccupato contro due carabinieri in servizio d’ordine davanti a Montecitorio; è la prima volta che accade un’esplosione di violenza nel momento in cui presta giuramento il Consiglio dei ministri. Il gesto sembra un caso isolato di disperazione ma il Cardinale Angelo Bagnasco ha ammonito che esso costituisce “un grande monito per la politica”.

Il governo Letta nasce con due debolezze: la difficoltà del P.D. ad accettare l’intesa con Berlusconi e la supponenza del P.D.L., favorito nei sondaggi d’opinione, di poter dettare le condizioni.

C’è una sfiducia reciproca che è sorta e si è consolidata in vent’anni di bipolarismo con gli schieramenti che si sono sfidati non su programmi concreti ma astratti ideologismi. Dicono i democratici: perché dovremmo sostenere un governo in cui Berlusconi è l’azionista di riferimento che può togliere la fiducia quando gli pare? Dalla parte opposta si teme che alcune decine di parlamentari del P.D. votino per disciplina di partito ma siano pronti a trasformarsi in franchi tiratori.

Di fronte alla compattezza del partito del Cavaliere basato su un rapporto fiduciario con il proprio leader e disposto a votare ad occhi chiusi, c’è la divisione interna del Partito Democratico, con un segretario dimissionario, diviso in correnti e reduce dalla distruttiva battaglia interna che ha portato al “flop” di due candidature per il Quirinale.

Un tempo i partiti erano il punto d’incontro di sensibilità e di interessi tenuti insieme dalle idealità, spesso da una ideologia, che davano senso e finalismo all’impegno comune; oggi sono aggregati di persone unite da una precaria identità fatta di mentalità flessibili e legami fragili che si limitano a gestire l’esistente e non hanno più lo scopo di cambiare la società. Non c’è omogeneità culturale e pertanto non c’è coesione; in queste condizioni diventa difficile attuare alcuni presupposti fondamentali della politica: la preminenza dell’interesse pubblico su quelli personali e di gruppo e il rispetto per chi, nell’ambito delle regole democratiche, la pensa diversamente. I partiti rispecchiano la realtà dell’Italia, divisa e lacerata da pulsioni contrastanti che difficilmente riescono a comporsi in un disegno condiviso anche per la situazione di crisi economica e di disagio sociale.

Però i partiti servono proprio a conciliare nella dialettica democratica gli interessi e i punti di vista contrastanti e a far si che i conflitti non siano di ostacolo alla convivenza civile e che gli avversari non vengano trasformati in nemici. Se non si accetta questa logica di confronto e di compromesso, non necessariamente deteriore, viene in parte meno l’impegno per rafforzare la nostra democrazia e la coesione della nostra società.

Con la formazione del nuovo governo è uscita di scena una generazione di politici che non è stata capace di realizzare le riforme necessarie; è una svolta storica imprevista che nasce da circostanze altrettanto imprevedibili ma che sono connesse al risultato delle ultime elezioni che hanno cambiato in modo significativo la rappresentanza politica. Anzitutto è proseguita la tendenza all’astensionismo degli elettori e tutti i partiti preesistenti hanno registrato un calo di consensi. Il centro-sinistra ha perso per strada circa 4 milioni di elettori e il centro destra ne ha perso il doppio: Berlusconi si è reso protagonista, nell’ultima fase della campagna elettorale, di un’incredibile rimonta ma rispetto al 2008 è stato abbandonato da quasi 6.3 milioni di votanti mentrela Lega, dopo gli episodi di corruzione che ha coinvolto la sua classe dirigente, ha visto più che dimezzati i suoi elettori. La fuga dei cittadini dal Partito Democratico ha avuto le dimensioni di un tracollo nel Centro-Sud ed è stata più contenuta ma non irrilevante al Nord. Vincitore non assoluto è stato il Movimento 5 Stelle che nel 2008 non esisteva e che ora ha invece raggiunto quasi 8.7 milioni di consensi, provenienti per circa il 30% dal centro-sinistra e per il 27% dal centro destra oltre che dall’area dell’astensionismo; anche la lista di Centro, facente capo a Monti, pur essendo rimasta al disotto delle aspettative, ha guadagnato circa due milioni di elettori. Il nuovo governo è il risultato della mancanza di una maggioranza parlamentare ma, proprio per questo, è senza alternativa e ha consentito l’insperato risultato di un deciso rinnovamento senza andare a scapito della competenza che è complessivamente di elevato livello. I problemi che il nuovo esecutivo deve affrontare sono enormi a cominciare dalla recessione economica, alla disoccupazione, al costo dello “Stato di sicurezza sociale” mentre i margini di manovra sono esigui a motivo dell’elevata pressione fiscale e dell’enorme debito pubblico accumulato. Occorrerà molto realismo anche da parte dei cittadini nel giudicare le politiche che saranno adottate e che devono contemperare rigore e flessibilità di impiego delle risorse per assicurare la ripresa della crescita.

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