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Universitas

DELLA CURIOSITÀ

SERGIO BALBI - 31/05/2013

Della curiosità si cade preda, la curiosità è morbosa, un demone voyeuristico che spinge a sbirciare le vite degli altri soprattutto, la curiosità è per un oggetto strano, che occupa la nostra mente giusto il tempo di uno sguardo, di un udire o leggere impazienti, alla ricerca di qualche scintilla che colmi l’attesa di altre cose senz’altro più importanti, la curiosità è della scimmia, che ruba o tocca qualsiasi cosa le capiti sotto gli occhi e chissà se poi imparerà qualcosa dall’ustione, dalla ferita, dalla brutta esperienza che l’inganno o la cupidigia le riservano, la curiosità è per un fenomeno da baraccone, il mai visto, l’eccezione alla regola e qui, proprio qui sta l’errore nel giudicarla, la svista, il trasformare in difetto una virtù; perché anche il bambino che cresce è curioso, scruta, osserva, forse indaga, come Fleming che si lasciò scuotere dalle strane muffe che infestavano le piastre delle colture nel suo laboratorio, e con prudenza e metodo costruì un futuro per il suo nome e per il bene di tutti, è curioso chi si lascia interrogare da un incontro e con passione, con una voglia crescente di ascoltare la storia di una vita che non è la sua, costruisce un amore, una famiglia, e curioso è chi prova a capire se il cammino che si apre all’orizzonte è la risposta al desiderio di provare il talento che gli è stato dato, che ha scoperto dentro di sé.

La curiosità come virtù è come il primo sorso del sommelier, che lascia sedimentare nella sua esperienza (e la trasforma in qualcosa che duri) l’insieme dei sapori e degli aromi, del lavoro e della conoscenza degli altri, per proporre a chi viene dopo, una sua lettura, un’indicazione; gli altri sorsi confermano, arricchiscono l’esperienza, ma alla disciplina del primo incontro si rifanno sempre, come ricordo, metro, o cesura per consentire altre esplorazioni.

Ma anche queste devono assoggettarsi alla medesima cura (perché è da questa radice che prende le mosse la parola curiosità) e apre nuove vie, nuove modalità, che diventano esperienza se comunque in armonia con un ordine sempre cercato, sempre ascoltato. Curarsi di qualche cosa, esserne curiosi è quindi un appetito, una spinta, che però richiede pazienza, che rinuncia alla voracità, che abdica al consumo e all’ebbrezza del paese dei balocchi; la soddisfazione dell’intelletto è curiosità vera, ma che non vede il suo oggetto come gemma pura, astratta dal terreno della realtà, trasformata in un idolo o in una veloce fuga dalla consuetudine, ma che vuole scoprire cosa lega, cosa vincola quello a tutto il resto, al mondo che ci accomuna. Un lavoro che faccia germinare la comprensione dei legami, le relazioni, i sistemi che costruiscono l’ordine del nostro unico mondo: una scienza vera, insomma.

Fuor di metafora usiamo la curiosità, lasciamoci guidare dalla sua forza, dalla passione che la genera, facciamola germogliare sui banchi di scuola (sempre più se ne sente la mancanza), ma diamo a chi comincia a cavalcarla gli strumenti per renderla feconda, matura, per non ridurla a un mordi e fuggi, o a un effimero premio nel suo compenso a un desiderio che, se si spegne al primo sguardo, porta poca cosa alla vita e al mondo delle esperienze.

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