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Politica

STRAPOTERE DELL’ECONOMIA E PARADOSSO DELLA POLITICA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 25/11/2011

 

In Europa la politica vive un paradosso: mentre la crisi economica è stata provocata dalla libertà sfrenata e senza regole della speculazione finanziaria, l’opinione pubblica si volge al centro-destra e non si fida del centro-sinistra che storicamente ha tagliato le unghie al capitalismo. In Spagna il governo socialista di Zapatero ha perso le elezioni perché ha sottovalutato la crisi economica e si è caratterizzato per il libertinismo con cui ha affrontato presunti diritti civili che sono soltanto delle aspirazioni, dei desideri di una infima minoranza, trascurando la condizione generale dei cittadini (vi sono cinque milioni di disoccupati). Anche in Italia il governo Monti, che suscita aspettative positive, si può annoverare come un governo conservatore illuminato.

Perché questa discrepanza?

La ragione sta nel fatto che i partiti socialdemocratici e socialcristiani non dispongono più di soluzioni valide come quelle che avevano salvato il mondo dalla depressione economica del 1929. Infatti le teorie Keynesiane del “deficit-spending” e quelle di Beveridge sull’ampliamento del “Welfare State” sono divenute di difficile applicazione: gli Stati sono troppo indebitati per chiedere ulteriori prestiti che, anziché stimolare lo sviluppo, porterebbero al collasso i bilanci pubblici e lo “Stato di sicurezza sociale” è divenuto troppo costoso (anche per l’aumento dell’età media della popolazione) per non dipendere da una elevata imposizione fiscale.

Il risultato è che sia la “destra” che la “sinistra” hanno accettato la logica neo-liberista senza neppure tentare di mettere delle regole e dei freni agli eccessi più evidenti e l’opinione pubblica non riesce più a distinguere la differenza tra questa e quella.

Che fare per evitare i rischi di una polarizzazione estremistica e quelli di una frantumazione sociale?

Le forze democratiche progressiste devono ancora trovare nuove ricette per la nuova realtà globalizzata e per un mondo interconnesso; ricette che ovviamente non hanno nulla a che fare con le nostalgie della sinistra radicale che guarda ancora ad una “società fordista” che non esiste più.

Ciò significa che mentre la “destra”, che crede nel “lasciar fare, lasciar passare” e presuppone un ordine naturale del mondo, non ha bisogno di progetto, la “sinistra” deve entrare nell’ottica che compito della politica non è soltanto quello di gestire l’esistente ma provocare il cambiamento. Certo, il programma sarà l’esito di una elaborazione culturale degli “esperti”, ma tale impegno presuppone che vi sia una società democratica aperta che crede nella forza delle idee e che vede la politica come una risorsa etica che va oltre la conquista del consenso e del potere. Negli attuali partiti c’è invece una predilezione, non per la cultura e la ricerca e l’impegno, bensì per il “fare”, il “vincere”, il “comunicare” contenuti che non hanno. In tal modo la politica ha il fiato corto, i risultati sono ambigui, perché i mezzi sono messi al posto dei fini.

Ogni giorno constatiamo la distanza tra azione pubblica ed etica, l’abbandono dei valori e dei principi di riferimento; in nessun altro Paese democratico è potuto accadere, come in Italia, che nullafacenti, pregiudicati, affaristi, belle donne disinibite, abbiano potuto accedere in numero così rilevante nelle istituzioni pubbliche. In nome della politica si sono tollerati abusi di ogni genere non esclusi quelli di un linguaggio volgare e scurrile (il linguaggio esprime ciò che siamo); così la corruzione politica è dilagata dalle istituzione nella società. Di fronte a questa evidenza non è più possibile la pratica della “doppia moralità”, tanto meno da parte dei cristiani i quali sanno che la morale è unica, riguarda sia la vita privata che quella pubblica e l’interesse pubblico alla conoscenza prevale su quello privato alla riservatezza per cui i “vizi privati” non devono apparire come “pubbliche virtù”.

Senza principi morali cade lo spirito civico, il senso del bene collettivo, il concetto di uno Stato giusto al servizio dei cittadini; “il senso dello Stato – ha detto il Presidente Mario Monti – è la forza delle istituzioni che evitano la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell’appartenenza della comunità di origine in localismo, del senso del partito in settarismo”.

In un mondo globale le soluzioni non vanno ricercate nei particolarismi nazionali e negli egoismi corporativi; ciò che era evidente all’indomani della catastrofe della guerra e che ha portato all’istituzione dell’Europa unita e ad una principio di governo mondiale (attraverso gli accordi di Bretton Woods del 1944 con la creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale), sta appannandosi nella coscienza dei cittadini che regrediscono nella impossibile ricerca di soluzioni di ripiego: la fiducia negli “uomini della provvidenza”, il rinchiudersi nelle piccole patrie locali, il dare la colpa a razzismi e a complotti esterni. Questi sono vecchi e falsi rimedi che in passato hanno portato allo scontro dei nazionalismi, che si è trasformato in una lotta generalizzata tra gli Stati e tra i sistemi economici (autarchia), da cui siamo faticosamente usciti dopo aver acquisito, sotto la guida di uomini illuminati come Roosevelt, Schumann, Adenauer, De Gasperi, la coscienza della indivisibilità del destino di tutti gli uomini.

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